Donnas – Gressoney
Tratto lungo (25 ore) quindi racconto lungo
Esco e uno mi dice “Ciao coach”. Questa volta non mi freghi, so che è scritto sul pettorale! Ma invece no, è Francesco insieme a sua moglie, Silvana. Che piacere enorme!
Partiamo come una caravana, io, Augusto, Francesco, Silvana e Giorgio. Parliamo, ridiamo e facciamo foto. Ma tutti i divertimenti devono finire. Ci salutiamo e della caravana rimangono solo le due bestie da soma.
Da Donnas a Pont ci saranno un paio di chilometri. Ci suonano e ci salutano almeno venti macchine – orgoglio Valdostano per il loro territorio e IL TOR.
A Pont c’è un ristoro con banda e danzatori. Non ho fame ma insistono – mi sembra scortese rifiutare. Augusto invece ha un grande fisico – prende del vino e secondo me era tentato a fare un ballo con una signora anziana.
Lasciamo con malincuore e attraversiamo il ponte del diavolo. Adesso scalinate – tante scalinate, tantissime. Un signore che lavoro in giardino e brucia un piccolo falò. Una signora seduta davanti a casa a prendere l’aria e guardare la panorama serale. Saliamo su, un pezzo di strada, ancora sentiero. E poi si scende. Adesso con il frontale a illuminarci la via.
Un paese. Seguiamo le stradine strette fra le case e poi siamo a Perloz e anche qui con grande piacere troviamo Giorgio. Questo ristoro avevo visto in diversi video, l’avevo sentito raccontare, ma esserci è tutta un’altra cosa. La piccola piazza gremita di persone, le campanelle che annunciano il nuovo arrivo, i ragazzi che pretendono un cinque. La banda che suona. Le signore vestite dalla festa. L’accoglienza, come ognuno di noi fosse un ospite d’onore. Due tavole imbandite di ogni prelibatezze. L’invito a assaggiare. Augusto si butte, io appena dietro. Pizze, formaggio locale, tramezzini, verdure grigliate o stufate, dolci squisiti e succo di mela invece che coca. Mi abbuffo mentre Giorgio ci osserva divertito. Ma arriva l'ora di ripartire. Lo dico a Augusto ma lui ha trovato l’angolo del vino. Sta assaggiando piccole sorse da ciascuna bottiglia e discutendo animatamente con un locale sui relativi meriti delle varie qualità. Ci vuole un azione deciso per convincerlo che bisogna andare via altrimenti lui farà serata!
Traversiamo il ponte di Moretta. Anche qui una coppia al buio che applaude e incita. Adesso saliamo verso la strada statale di Gressoney. Parliamo …………e sbagliamo strada. Ci tocca tornare indietro di qualche centinaio di metri. Il bivio era anche ben segnalato ma siamo noi sbadati. Adesso arriviamo alla strada che bisogna seguire per quasi un km. Le macchine che passano suonano e la gente fuori delle finestrine gridano parole di incoraggiamento. Traversiamo e cominciamo a seguire una strada sterrata un po’ in salita un po’ in piano. Non so quanto tempo siamo stati su questa stradina – mi sembra tantissimo – ci sono dei balconi attaccati al muro della valle che sembrano ponti, qualche volta sono ponti. Un susseguirsi di stradina e ponti. Augusto rimane indietro e vado avanti almeno un’ora da solo.
Adesso comincia a salire – un sentiero che non fa sconti. Si sale un pezzo di sentiero, si arriva su una strada, diventa ancora un sentiero che passa da un paesino semi abbandonato. Mi riprende Augusto. Altro sentiero, altro paesino abbandonato. Ci fermiamo davanti una chiesetta. Si suda e bisogna fare una pausa. Ancora in salita ma adesso è meno ripido. E poi ci sono luci e il rumore di gente. Siamo a Sassa. Arrivo e chiedo un piatto di pasta in brodo, arriva Augusto e idem ma mendica anche un goccio di birra da un gruppo di giovani donne. Stare qui fa freddo e quindi partiamo presto. Ancora su. Ma questo sentiero non molla mai?
Troviamo indicazioni per il rifugio Coda. Buono, forse manca poco. Invece no, sempre più su. C’è vento freddo e ci fermiamo per mettere la giacca. Un po’ di nebbia. Incontriamo due persone che scendono. Chiediamo lumi e ci dicono che ci vuole ancora mezz’ora. In quel momento ci sembra tanto ma la verità è ancora più triste. Finalmente arriviamo al piccolo colle sotto la cresta finale. Nebbia e vento. Saliamo lungo la cresta. Un po’ si vede, un po’ no. Non so se i pendii a destra e sinistra sono ripidi o dolci. Nel dubbio cerco di rimanere saldamente in mezzo. Vedo quello che sembra un castello avanti. Ci sono luci e quello che sembra un tendone per i cavalieri e bandiere che volano sopra. Stanchezza, il buio, e una vista non perfetta. E il rifugio Coda – c’è un tendone ma i cavalieri seduti dentro sono uno spettacolo triste.
Mangiamo qualcosa. Io mi adagio la testa sulle braccia appoggiato al tavolo. Devo chiudere gli occhi. Mi sveglio dopo mezz’ora. Augusto non c’è più. Ma vedo Chris. Chiedo se ha visto Augusto e mi dice che probabilmente è entrato nel rifugio a dormire. Vado dentro e chiedo. Dopo che mi dicono che sta dormendo chiedo anch’io un letto e di svegliarmi alla stessa ora di lui.
Quaranta minuti più tardi siamo pronti a ripartire. Adesso giù verso il colle Sella e quello che ci avvertono è una discesa difficile. Invece niente di che. L’alba arriva che non siamo arrivati al Rifugio Barme come pensavamo. Non si va al Lago Vargno come in origine ma si intraprende una traversata abbastanza tecnica con pezzi di ferrata e catene. Superiamo una ragazza serba, troviamo un ragazzo che vuole ritirarsi ma deve arrivare al rifugio. Andiamo avanti a farli strada. Adesso si sale ancora. Arriva da dietro un ragazzo che mi chiede se sono Martin, quello di Spirito Trail, coach di Giorgio. Ammetto le mie colpe. Lui è Andrea – un amico di Giorgio, ci seguiamo su Instagram da tempo.
Arriviamo finalmente al rifugio e precipitiamo verso il cibo. Panino con prosciutto e caffe, altro panino con prosciutto e una coca, ancora un panino e coca. Adesso posso ripartire!
Augusto è preoccupato per il tempo e quindi acceleriamo. Arriviamo e superiamo rapidamente il colle Marmontana. Comincia a piovere mentre scendiamo verso Lago Chiaro. Arriviamo senza bagnarci troppo. Una signora gentilissima mi chiede se voglio assaggiare il capocollo alla griglia con patata. So che non è una buon’idea ma mi sembrerebbe scortese dire di no. E quindi mi butto su questa prelibatezza e dono mezzo patata a Augusto. Qui conosco un ragazzo che segue il forum ma non interviene – non mi ricordo come si chiama quindi non posso controllare come è andato la sua gara. Spero bene!!
Partendo da Lago Chiaro, Augusto scappa via mentre io proseguo con il mio passo, fortemente condizionato dalla digestione del capocollo

. Salgo fino al famoso passaggio del Crenna dou Leui e poi in discesa dall’altra parte, direzione Colle della Vecchia. C’è un tendone e punto di controllo prima del colle. Vogliono darmi un piatto di pasta. Neanche per l’idea – la pasta sopra il capocollo sarebbe una coltellata per la mia digestione! Invece il tè e biscotti vanno benissimo. Ancora 10’ si arriva al colle e sono in discesa verso Niel. Ma quanto cacchio è lungo arrivare a Niel? Prima in discesa su singletrack in mezzo ai cespugli, poi in salita per superare un costone, poi ancora in discesa nel bosco. Ma finalmente sento i rumori del ristoro e vedo le case. Attraverso il ponte e trovo un sempre sorridente Giorgio che mi aiuta a sistemarmi dentro la zona coperta.
Ma ragazzi, che polenta fanno a Niel? Non vado matto per la polenta ma quello mangerei quasi tutti i giorni. Seguo con biscotti e caffe mentre Giorgio, sempre premuroso, mi riempie le borracce. Mi dice che Agosto sta dormendo ma io non ho sonno quindi decido di proseguire per il colle Lazoney. Salgo con buon passo ma dopo trenta, forse quaranta, minuti mi viene sonno. Mi sdraio appena fuori del sentiero, ben visibile in modo che Augusto mi può vedere e svegliarmi. L’allarme suona dopo 30’. Mi alzo e vado. Niente Augusto. La salita è più lunga di quanto immaginavo ma alla fine arriva e il vallone di Loo si apre alla mia vista. Sarebbe bello riuscire a correre qui. Si andrebbe giù velocemente ma i piedi mi fanno male. Il ristoro di Loo – altro panino con prosciutto e cioccolato. Più in basso una fermata per liberarmi di un peso discreto. Arriva il buio mentre scendo nel bosco. Frontale e via. Finalmente si arriva sulla strada di Gressoney. Bisogna fare quello che sembra un paio di chilometri per arrivare alla base vita. Mi viene incontro Giorgio e poi dal buio salta fuori anche Domenico (un mio atleta toscano che è qui per seguire due suoi amici partiti nella prima batteria). Mi sento l’umore alle stelle.
Entro nella palestra. Mangio qualcosa rapidamente e poi guardo i piedi. Non bene – una vescica grande sul fianco del tallone destro. Diverse dita con piccole vesciche in punta. Cerco di fare io ma mi rendo conto subito che non è il caso, quindi mi metto in fila per una cura professionale. Aspetto più di un’ora ma nel frattempo faccio conoscenze e chiacchiero. Vedo anche Augusto e lo dico di ripartire quando è pronto. Non ha senso aspettarmi perché non so a che ora potrei essere pronto. Qui, purtroppo finisce il nostro sodalizio.
Finalmente tocca a me. Spiego il problema e mi metto sul lettino. La ragazza ha un tocco dolcissimo e mi addormento di brutto – credo 40’. Quando lei mi sveglia vedo che oltre alle vesciche mi ha fatto un bendaggio anche sotto il metatarso, che onestamente non avevo chiesto e di cui non avevo bisogno. Pazienza, immagino e spero che andrà bene. Mi rendo conto che è passato tanto tempo. Sarà meglio andare via, anche se sono perfettamente in orario con la mia tabella di marcia. Faccio su la borsa in fretta e esco dalla palestra quasi senza fare registrare l’uscita (ho dovuto tornare indietro appena uscito). Meno male che c’era Giorgio a ricordarmi certe cose!