A qualcuno piace l'ansia

di Carla Putzu

Psicologa Psicoterapeuta e Neuropsicologa

@CarlaPutzuSportsPsychologist

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Foto (c) Thiago Diz

Ebbene sì: a ciascuno la propria emozione vincente!

Si può parlare di sport senza parlare di emozioni? E come si potrebbe? Lo sport, l'attività e l'esercizio fisico in generale sono attività psicologiche, oltre che motorie, necessariamente accompagnate da un'ampia rosa di emozioni, che, come scopriremo, non sono di per sé negative o positive.

 

Certo, esistono le emozioni piacevoli e quelle spiacevoli, come tutti sappiamo, ma non è affatto scontato che un'emozione “negativa” come ad esempio l'ansia, sia in assoluto da evitare, come ci aspetteremmo intuitivamente. Dico questo perché in ambito prestativo ogni atleta è un individuo con le sue peculiari caratteristiche, e tra queste esiste anche un livello di attivazione specifico per ciascun soggetto.

Per attivazione si intende il grado di reattività fisiologica (e psicologica) conseguente agli stimoli ambientali, alle situazioni che incontriamo, più semplicemente: l'incremento della frequenza cardiaca, della frequenza e ampiezza respiratoria, la vasocostrizione, la sudorazione, la dilatazione delle pupille.

Le emozioni sono la parte psicologica e valutativa di queste attività fisiologiche: se noi interpretiamo la situazione come pericolosa, sperimenteremo un'emozione di paura o di ansia; se invece siamo in presenza di un contesto piacevole, proveremo l'emozione di gioia, di sorpresa, di curiosità.

In questo senso, emozione e attivazione sono strettamente connesse tra loro, e influenzano il nostro modo di reagire all'ambiente e alle sue sfide.

Torniamo alla prestazione e facciamo un esempio.

Se sono un tiratore e devo sparare al centro del bersaglio, la precisione e la fermezza sono caratteristiche indispensabili per l'esecuzione del mio compito. Sperimentare elevati livelli di ansia sarà sicuramente controproducente per la riuscita del mio tiro, in quanto gli effetti fisiologici dell'ansia potrebbero minarne la precisione, offuscare la mia vista, far tremare impercettibilmente la mano al momento cruciale dell'azione. Come atleta avrò bisogno di abbassare i livelli di attivazione.

Ma se sono un pugile... beh, se sono un pugile le cose sono diverse. Probabilmente sentire il mio cuore che accelera, il respiro che si fa più veloce, i miei muscoli che si ingrossano, percepire una moderata scarica di adrenalina, di paura, di eccitazione crescente, tutto questo potrebbe darmi l'energia fisica e l'emozione adeguata, per affrontare con la giusta carica il mio avversario.

Allora, nel primo caso bassi livelli di attivazione rappresentano l'ideale condizione psicofisiologica, nel secondo alti livelli preparano l'atleta alla prestazione. Stessa emozione, effetti opposti.

Quindi se per compiti di precisione sono da ricercare bassi livelli di attivazione, minor numero di stimoli e di distrattori (è il caso di sport come la ginnastica, i tuffi, il tiro con l'arco, il tiro a segno, il golf), negli sport di forza, di resistenza o di velocità (come ad esempio la corsa, il fondo, il sollevamento pesi) sono indicati un maggiore coinvolgimento e un’attivazione più elevata per raggiungere lo stato ottimale pre-gara.

Ma esistono anche fattori soggettivi.

Pensiamo all’influenza del pubblico: alcuni atleti cercano il massimo della concentrazione e il silenzio, altri atleti invece invitano con le braccia alzate il proprio pubblico a tifare e incitarlo, per avere il giusto grado di attivazione psico-fisiologica.

Determinante diventa, a questo punto, essere consapevoli di quale sia la propria zona individuale di funzionamento ottimale (è così che l’ha chiamata Hanin, l’ideatore di questi concetti): bisogna imparare a riconoscere le proprie emozioni funzionali e quelle dannose, il livello adeguato di attivazione, e in secondo luogo, cercare di riprodurlo al momento opportuno.

Ma come?

Prima di tutto cercando nella propria memoria come ci si è sentiti durante la prestazione migliore e in quella peggiore, selezionando le emozioni, le sensazioni, le immagini mentali e tutto ciò che ha caratterizzato quelle situazioni, fino a trovare la consapevolezza di quali siano state le proprie condizioni ideali e quelle disfunzionali, prima e durante la gara.

Solo dopo sarà possibile riprodurre quelle emozioni attraverso tecniche che consentano di raggiungere quegli stessi stati di attivazione ed “entrare” nella zona ottimale restandoci per la durata della prestazione.