Disperdete le mie ceneri sul numero “3”
Testo di Enrico Viola
Invecchia, ma è sempre bella.
A guardarla sa accendere ancora la passione, ne assaporo forme e odori così desiderati.
E' stata o non è stata il primo amore?
Anche quest'anno sono qui, me la ritrovo difronte.
Pronto a porgerle il mio piede!
Cavalcata Carsica, è il suo nome.
Autunno, autunno carsico. Quando i tramonti accendono le alture di luce dorata senti il richiamo, lassù, della linea nera dei boschi. Il calare rapido della sera e i primi freddi non donano ancora il riposo, bisogna andare, ancora, se si vuole essere pronti.
L'appuntamento ha ormai il sapore preciso e confortante delle tradizioni, prima domenica di dicembre, ore sette e trenta si parte, chi c'è c'è.
Così dal 1987.
A parte gli “storici cronometristi”, a cui dai il tuo nome per la classifica finale, nessuna organizzazione, niente pettorali, premi nemmeno, davanti a chi si avvia 50 chilometri di sentiero, il numero “3”, il Carso più affascinante e riposto in equilibrio tra i calori del mare a occidente e le brume umide del continente a oriente.
La classifica della Cavalcata Carsica 2018
Qui mi sono fatto le ossa come corridore, rapito dalla fascinazione per un'impresa che sembrava impossibile; nell'anno duemilanove, dopo sei mesi di allenamenti che ti aprono un mondo prima sconosciuto, la mia prima Cavalcata mi regalò la sicurezza di una vocazione.
E di nuovo sono qui, 2013, la mia quarta Cavalcata.
La bora, che ha tirato forte per tutta la notte, ha reso inquieto il mio riposo ma, in compenso, ha pulito l'aria, disperso foschie e pulviscoli. In quest'aria fredda e cristallina la visione del profilo del monte Taiano, schermo ancora per qualche minuto al sorgere del sole, ha la nitidezza di particolari che potrebbe offrirti un pittore anatomista intento a svelare i garbugli del corpo umano.
Con la prima luce ci raccogliamo tutti per una foto ricordo e poi è già l'ora di partire.
Vado in testa senza girarmi, ascolto solo le voci di chi mi segue, voglio soltanto seguire il richiamo alla corsa dettato dal mio corpo, non ho strategie, i tempi che dettano il mio andar bene o male li conosco come le curve, le svolte o i sassi di questo sentiero. E me ne vado, che mi sento leggero, le piccole discese favoriscono il mio incedere privo di timori e le scarpe minimaliste, forse finalmente domate, sembrano appena accarezzare la terra.
Passa il Monte Cocusso “palestra di salite” e la sua temibile discesa, passa il ”circuito”, passa il sentierino stretto tutto curve prima di Gropada.
Ogni tanto sfiori un paese o intersechi una strada dove aspettano il passaggio amici e parenti dei corridori e più di qualcuno mi conosce e mi incita. Ma per il resto non c'è che il bosco. Boscaglia mista di roverelle, frassini, carpini e aceri. O scuri blocchi di pini. E l'immancabile rosseggiare del sommacco. Tutti impegnati a ricoprire, con spirito di rivincita, l'immane landa di pietra che fu il Carso dopo secoli di disboscamenti e a preparare, magari, il ritorno dei giganti, le foreste perdute di querce.
Ma non ci sarebbe Carso senza pietre. Devi farci attenzione alle pietre, saper dove mettere i piedi, e puoi andar veloce anche dove un altro impazzirebbe nell'impotenza.
E dietro a me, comunque, non sento nessuno.
Al posto di frontiera di Fernetti comprendo che sto facendo un tempo molto buono, almeno per quelle che sono le mie capacità e possibilità.
All'imbocco del sentiero per il monte Orsario inciampo e cado, ma in una capriola sono subito in piedi, che le lezioni di aikido mi insegnano perlomeno a gestirmi in questi momenti.
Passo da primo anche a Poklon, per infilarmi nel tratto più solitario e amato, ma anche giustamente temuto, quello che porta al posto di frontiera di Gorjansko.
Il sentiero “3” non offre sconti, sbagli qualcosa e la paghi, soprattutto qui, che è tutto un saliscendi che ti spezza il ritmo e ti taglia il fiato.
Forse ho tirato troppo, forse partito con in serbatoio già poca benzina come quei piloti di formula uno che azzardano sui rifornimenti, ma le cose cominciano a non andare come prima. Le gambe non girano e comincio ad arrancare. Tento di alimentarmi ma continuo a soffrire. Le cose volgono al peggio.
“Alcuni atleti pensano che arrivare sottopeso alla gara sia un vantaggio. Spesso sento dire alla partenza delle maratone commenti del tipo: “Ara (guarda) che bel magro che 'l xe!”. A me verrebbe da aggiungere: “Cussì magro che no 'l gaverà (avrà) la forza per 'rivar a l'arivo!”. Così scrisse Virgilio Zecchini, promotore del sentiero “3”. Profetico. E io mi pento del mio insistere con le colazioni fruttariane.
Sarà stato attorno al trentesimo che mi raggiunge il secondo; non ci conosciamo ma alle presentazioni capisco che è una “vecchia volpe” del tre, lui mi dice che è un onore correre con me, figurarsi, l'onore è mio. Non sapeva quante volte avevo letto e riletto, scritto e citato una sua frase apparsa sul “Carso di Corsa”, il libro che mi ha fatto conoscere la Cavalcata. E proprio riferendosi al sentiero “3” diceva: “Non è solo questione di risultato ma dell'intimo rapporto che unisce il tuo corpo in movimento con la magia dei luoghi, come in montagna: solo, tu e la “grandiosità””.
Una delle frasi più belle che ho letto sullo spirito del trail, un vero tesoro di cui mi sono fatto custode da quando mi sono messo le scarpe da corsa e mi sono infilato nei sentieri.
Vorrei dirglielo, ma in questo momento non riesco a fare grandi discorsi che il fiato è tutto ripiegato al risparmio, lui se ne va, svanendo nelle curve frondose, e lasciandomi nell'atmosfera brumosa della mia crisi che non riuscirebbe a ripulire neanche una giornata di bora di quella tosta.
Sarà la crisi che sto vivendo, sarà il senso di sconfitta delle proprie pretese, ma mi pulsa in testa, assieme alle arterie cerebrali, una frase: “disperdete le mie ceneri sul sentiero tre!”
Ma forse non è con tono pessimista che lo dico, che, al di là del fosco della crisi, riesco a vedere ancora la luminosa bellezza di questi luoghi. E non vorresti, come polvere, distenderti in tanta bellezza?
Passo Gorjansko che tutte le spie del motore sono accese, e chissà che faccia da martire sto menando in giro. Ora non c'è che da pensare ad arrivare alla fine e, se mi vien voglia di alzare lo sguardo da terra, ad agognare il passaggio del monte Hermada, il cui profilo si eleva lì davanti a qualche chilometro.
Non è giornata per tenere sugli sterrati veloci, mi passa anche il terzo, un'altra “vecchia volpe” che se ne va e non ci posso fare niente.
L'universo di un animale in difficoltà converge tutto nel fuoco di un istinto di sopravvivenza, così l'universo di un corridore in difficoltà si restringe al nucleo di volontà che gli fa fare un passo ancora. E uno ancora.
Sulla salitella del monte Hermada, fronte della Grande Guerra, infrangibile caposaldo austriaco, salgo ingobbito come un intimorito fante che trema alla sorte della prossima granata che verrà.
Pochi secondi di pausa sul passaggio dell'oleodotto, dove lo sguardo s'apre a tutti gli orizzonti e ci si bagna del riverbero del mare, e la schiena si raddrizza ebbra di verticalità prima di buttarsi a capofitto nella delirante discesa verso Medeazza, che ormai manca poco alla fine.
Ho rallentato, sperperato ciò il patrimonio accantonato nella prima parte di gara, di più non si può fare se non andarsene tranquilli in questi ultimi chilometri, e volgersi indietro per controllare che, proprio sul finale, non ci sia qualcuno a giocarti ancora uno scherzo. Che, alfine, anche se a vincerla ci ho provato, il terzo posto non è da buttare!
P.S.: Mi riportano alla partenza a riprendere la macchina. Tento di farla partire ma quella non ne vuole sapere. Anche lei ha finito la benzina!