Mauro ci ha lasciato.
Uomo di esperienza editoriale ha collaborato con noi quando muovevamo i primi passi, regalandoci stimoli e idee.
Mauro ci ha poi salutato, perché aveva altri progetti da portare avanti, ma continuando a leggerci e a seguirci.
Fino a sabato scorso.
Garbato, misurato, intelligente.
Lo ricorderemo così, un po' scalzo dentro.
Scalzi dentro
di Mauro Mongarli - Rusty
Essere scalzi dentro, se uno corre abitualmente, è uno stato dell'anima che si fa beffe delle stagioni. Della stagione che cambia, per esempio, quando si perde il lavoro o il fidanzato. Della stagione che arriva e ti dice “ciccio, non fare il furbo: qui ci vuole una giornata di recupero in più, ormai”. Della stagione in cui si comincia a correre di più perché hai nove anni e ti senti invincibile: anche qui, semplicemente, corri.
Essere scalzi dentro è ciò che fa correre perché è bello correre e perché lo fai TU, nel senso che se fossi l’unica persona sul pianeta a farlo, bene: lo faresti tranquillamente e gli altri non ti verrebbe da convincerli, né da biasimarli. Semplicemente, corri senza scappare, senza voler raggiungere niente. Corri perché ti viene e ti piace come l’aria ti accarezza, come la natura ti parla. Prima o poi ti viene la curiosità di conoscere meglio la terra che sostiene ogni tuo passo.
Allora ti togli le scarpe, e ti rendi conto che essere “scalzo dentro” è qualcosa che hai toccato solo in superficie, e ti spaventa quello che ora intravedi.
Il passo si accorcia, devi essere per forza più leggero e attento nell’appoggio, la terra ti diventa antipatica, e non parliamo dei sassi – cambia tutto. Ma se non ti fa paura ascoltare quello che succede, capisci che essere scalzo dentro, e ora fuori, è un modo naturale per correre dentro di te. Naturale perché non ci sono lezioni da imparare.
Per esempio: se vai scalzo o quasi giù per una discesa ripida e sassosa, ti accorgi dal sorriso che senti nascere dentro che vai sì più piano, ma che la linea che segui ora ti assomiglia. E non c’è nulla di emozionante, non ti viene di gridare alla grande scoperta, non ti senti “illuminato”. Al massimo ti mandi ridendo a quel paese perché è chiaro che tutto questo era lì da sempre. Forse era una parte importante di te quando eri piccolino: le mille abitudini poi accumulate non ti avevano ancora imbevuto di ansie.
Poi torni a casa e per tre giorni non riesci a fare due gradini di fila. Capisci che ci vuole un bel po’ di gradualità, perché i piedi, dentro le scarpe, sono diventati pigri, proprio come quei tuoi colleghi che hanno ormai la forma del loro divano. O come quei compagni di corsa che sembrano avere il pilota automatico, anche nelle loro motivazioni, sempre uguali. Come se vivessero in una sola, bloccata stagione.
E allora partono mille domande: quanto ci metterei ad abituarmi, a rafforzare piedi e a migliorare la postura? Ma se mi esercito, riuscirò mai a correre un’ultra scalzo, o poco calzato? E le giunture, come reagirebbero? La schiena la sento più libera, ma a lungo andare cosa succede?
Qui sei a un bivio: o diventi pienamente consapevole di essere scalzo dentro, o entri in un vortice di domande e paranoie: le stagioni descritte qualche riga più su – cosa che prima magari non facevi, o comunque non era in grado di stressarti troppo.
Allora ti dico: rimani scalzi dentro, ne vale la pena… anche se scegli di tornare nelle scarpe!
Spirito Trail n. 36, gennaio 2012