L'attenzione consapevole

di Carla Putzu

Psicologa Psicoterapeuta e Neuropsicologa

@CarlaPutzuSportsPsychologist

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Foto (c) Riccardo Selvatico

 

In psicologia si parla molto di una disciplina che ha origini nella tradizione buddista, la Mindfulness, termine inglese che vuole tradurre l’antico sanscrito Sati, cioè, presenza mentale.

 

La Mindfulness può insegnarci qualcosa, quando parliamo di sport, di duri allenamenti e di gare impegnative. Non si tratta di una tecnica di meditazione, né di rilassamento, nemmeno di una forma di distrazione o estraniazione da pensieri o sensazioni negative.

Il concetto, molto utilizzato, di “qui e ora” riassume a grandi linee uno dei fondamenti su cui poggia la filosofia Mindfulness, e si concretizza in quello che, più semplicemente, gli psicologi chiamano attenzione consapevole.

La Mindfulness postula infatti tre concetti chiave: l’attenzione, la consapevolezza e l’accettazione.

Cosa significa quindi “qui e ora”?

Ad esempio, mentre sto eseguendo un esercizio che comporta grande fatica, sensazioni spiacevoli, legate allo sforzo fisico; pensieri interferenti, che derivano dal tentativo di sfuggire o di autosabotare la mia prestazione, l’atteggiamento mindful mi permetterà di orientare i processi cognitivi di attenzione ai soli gesti atletici, in una modalità assolutamente consapevole su ogni passaggio, movimento, sensazione associata e, soprattutto, in modo non giudicante.

Accettare, cioè constatare che qualcosa sta accadendo, concentrandosi sulle qualità delle sensazioni, senza soffermarsi a pensare che vorrei non fossero così negative, o senza aspettare che finiscano, significa viverle e attraversarle, restando presente e attento al mio percorso.

Immaginiamo una salita in bici: la pendenza è forte, la fatica si fa sentire, il respiro accelera, il battito aumenta e la mente comincia a vagare, si perde, sfugge; lo sguardo corre verso la cima della salita, i miei pensieri diventano negativi “non ce la faccio più, il cuore è troppo alto, l'ultima volta ho fatto meglio”...

Le mie risorse attentive vengono così diluite, la tecnica ne risente, la prestazione diventa meno efficace, la tentazione di mollare quasi incontrollabile. Cosa è accaduto?

Ho perso contatto con il presente. Ho portato l'attenzione al futuro (la fine della salita) e al passato (l'altro giorno ho fatto meglio, ero più in forma) e ho utilizzato dei processi attributivi per definire le sensazioni che provavo: ho detto a me stesso che erano troppo spiacevoli... sarebbe meglio rallentare un po'?

Se invece mi limitato a constatare che le sensazioni sono, in effetti, intense, del resto osservando me stesso, mi rendo conto che sto eseguendo ogni gesto al massimo delle mie possibilità; se mi concentro sul feedback che i miei muscoli mi mandano, su ogni singola pedalata, su ogni metro di strada percorsa, su ogni respiro, solo questo respiro, solo questa pedalata, solo questo metro di strada... in questo secondo caso, ogni risorsa cognitiva è utilizzata e finalizzata alla prestazione, senza dispersioni.

Come fare? Uno degli strumenti che meglio si presta a fungere da canale tra pensiero e corpo è il respiro. Attraverso una respirazione controllata e ritmica, è possibile ancorare i cicli respiratori ai cicli di movimento (pedalata, falcata), portando la nostra attenzione al movimento, alle sensazioni derivate dal respiro e limitando ogni interpretazione di ciò che sta, semplicemente, accadendo!