SENTIERI DI DOLOMITI DI BRENTA

Testo di Francesco Rigodanza

Foto di Alice Russolo

www.dolomitidibrentatrail.it

Molveno, Sabato 7 settembre 2024

È un’ora e mezza che sto ansimando in salita. Prima su cemento, poi su forestale, qualche bel single track e poi di nuovo su per un pratone. Si ansima sempre. Salire, salire, salire.

E poi all’improvviso non si sale più. Gli occhi cambiano prospettiva, basta sassi in dettaglio a mezzo metro dal viso, ora lo sguardo vede solo spazi vasti, Dolomiti imponenti e montagne innevate: il motivo per cui ho ansimato fin qua…

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“Le montagne più belle del mondo ti aspettano”

Così recita a grandi caratteri la homepage dell’evento Dolomiti di Brenta Trail. Slogan quasi sbruffone, eppur funzionante. Le tre distanze di 21 km, 45 km e 64 km sono sold out da settimane, riempite da persone che vorrebbero, come me, provare a correre su queste montagne, dicono, più belle del mondo.

Si, io sono qua per mettermi un pettorale, un numero che implica dell’agonismo. Precisamente un agonismo che parte da Molveno e dura 45 km e 2850 d+ ma di tutti quei km il mio pensiero volge solo a quello che si calpesta sopra i 2000 metri di quota. È quello l’obbiettivo. Quello a cui penso. Arrivare là in cima con un po’ di endorfine da salita corsa al gancio e lasciarsi poi cullare dal disegno del sentiero mentre ogni tanto si commette il peccato di guardare avanti verso montagne diverse dalle Dolomiti.

Ecco in cima ci sono arrivato. Ho già sentito un brividino sulla schiena alla prima occhiata all’orizzonte e fatto apprezzamenti non richiesti alle cime. Poi un lungo respiro, a sentire l’aria fresca nei polmoni, e via a seguire questa linea di terra battuta e sassi tra prati fin troppo verdi.

Allungo il passo, la corsa si fa più facile, il sentiero più lineare, c’è solo da lascarsi andare e seguirne il ritmo. Salgo, scendo, saltello, allungo. Le gambe dure, da ansimamento su salita, sono un lontano ricordo.

Arrivo al rifugio Graffer, versante opposto a quello di partenza con vista che va dal Brenta al Cevedale passando per Adamello. Il sentiero si incattivisce, il numero di rocce aumenta così come la loro dimensione. E sono umide, viscide, scivolose. Più lento, più tecnico. Accorcio il passo e torno a lasciarmi andare. Salti, frenate, cambi di direzioni. Montagna vera. Supero turisti. Tanti. Saluto. Sono stranieri. Ma io mi voglio anche guardare intorno. Lo faccio e cado. Visto niente. Torno a guardare sassi da schivare e scarpe di turisti da avvisare. Salendo al Rifugio Tuckett ci riprovo. Una frazione di secondo e mi perdo in mezzo a sassi troppo grandi per appartenere ad un sentiero. Ritorno sul percorso e mi fermo, che cavolo, che bello. E poi riparto, ora è solo da salire comodamente al Brentei, fare un po’ di forcella ripida e buttarsi giù in direzione lago. Corro, cammino, guardo in su, scaviglio, non sono capace, riguardo, corro.

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È quasi triste arrivare ai 2552 della Bocca di Brenta, la pendenza dell’ultimo tratto trasforma il ritmo in una lenta marcia malinconica, di saluto a questo versante tanto bello e divertente. Arrivano voci dell’alto, il tifo, gli incoraggiamenti. “Dai che ce l’hai quasi fatta” “è quasi finita!!”…

Ah ma io stavo volentieri qua, ancora un po’.

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Ultimo passo in salita. Respiro profondo e giù, a finirsi i quadricipiti guardando il lago di Molveno. Con un solo pensiero:

“quale è il primo weekend che ho libero per venire qua a fare le Bocchette?”