SWISS PEAKS 660 – UN’INCREDIBILE STORIA DI PERSEVERANZA
Non so quanti di voi leggeranno questo lungo articolo, ma so per certo che molti commenteranno che tutto questo è insensato: farsi male per una “garetta di corsa”, portare il proprio corpo allo sfinimento e poi anche oltre, fino a danneggiarlo. Certo, dovremmo scrivere “Don’t try this at home”, dovremmo dire che quello che ha fatto Mario Piazzo alla Swiss Peaks 660 non è un esempio da seguire.
Se per un attimo, però, sospendiamo la tentazione di giudicare tutto e tutti, possiamo solo inchinarci davanti a tanta resilienza e perseveranza: questa è la storia di un uomo che con la sua motivazione è andato al di là di ciò che il 99,99% delle persone considererebbe logico e razionale.
Testo di Mario Piazzo
Devo fare uno sforzo per rimettere assieme le idee, i ricordi, le immagini, le ossa rotte (nel vero senso della parola) di questa che sicuramente è stata l'avventura sportiva che più di tutte mi ha messo a dura prova, sia fisicamente che mentalmente.
A distanza di qualche giorno ancora non riesco a capire come sia stato possibile, probabilmente non lo capirò mai, eppure è successo davvero.
La Swiss Peaks 660 è la novità mondiale dell'anno, l'endurance-trail più lungo al mondo che alla fine conterà circa 730 km e 50000 D+.
Sulla carta è un Tor des Geants lungo il doppio, un anello che parte e arriva a Le Bouveret con percorso interamente nel Canton Vallese in Svizzera.
Ai miei occhi tutto apparentemente semplice...ma non lo sarà affatto...purtroppo...o per fortuna...dipende dai punti di vista.
Le cose iniziano a complicarsi già dall'inizio quando dopo 50-100 km le ultime due dita del piede destro iniziano ad ingrossarsi, diventano rosse, si infiammano, si infettano...e soprattutto iniziano a fare male (scoprirò poi che si chiama "giradito" o "patereccio").
Un dolore che aumenta con il passare dei km e ad un certo punto diventa insopportabile soprattutto in discesa.
Comincio a "fare spazio" dentro la scarpa, prima tagliando il calzino, poi tagliando anche la soletta.
Qualcosa migliora, in qualche modo tiro avanti ancora qualche giorno cercando di godermi il paesaggio (splendido alle alte quote) altalenando salite lunghissime a discese spaccagambe infinite verso i fondovalle.
Ma l'apparente sollievo dura poco, dopo 300 km di gara la situazione diventa ancora una volta insopportabile...le dita peggiorano.
C'è da fare una scelta, inventarsi qualcosa o salire sul primo bus dei ritirati.
L'idea di abbandonare la gara proprio non la digerisco, non adesso, non in questo modo, non prima di aver lottato con tutte le mie forze...come sempre.
E allora non mi rimane che tagliare la scarpa per "liberare" le dita riducendo così la pressione e, si spera, anche il dolore.
E' notte fonda, ho già il cancello orario sul groppone che chiuderà tra soli 30 minuti, si salirà a quasi 3000 metri di quota, si prevede anche pioggia, sarò da solo.
Ma la decisione ormai è presa ben consapevole di quello che, questione di tempo, inevitabilmente succederà .
Con il buio e la stanchezza infatti non passa molto tempo dal primo calcione tirato con le dita già doloranti ad un sasso, vorrei urlare ma il dolore è talmente forte che mi toglie il fiato .
Il secondo calcione, a distanza di un paio d'ore, è anche peggio e il dolore ti entra fino al midollo quasi a farti svenire.
Con le luci del giorno guadagno un po' di lucidità e visibilità e arrivo alla successiva base vita ormai a sera inoltrata.
C'è solo il tempo per mettere qualcosa sotto i denti e nel controllare i piedi non ci vuole una laurea in medicina per capire che il mignolo destro si è fratturato.
Lo avevo messo in conto, cerco di mantenere il morale alto e di non pensare che sono appena a metà gara e che davanti a me ho altri 350 km di montagna da fare con salite e discese impegnative.
Si va avanti per piccoli obiettivi, un pezzettino alla volta da 10-15-20 km fino al ristoro successivo stringendo i denti e stando attento a non fare ulteriori danni.
Il mio è un procedere lento ma inesorabile, dove posso mi faccio sistemare il piede dai podologi che medicano, disinfettano, spurgano (forandoti le unghie), fasciano....operazioni dolorose ma necessarie per continuare in questa pazza avventura.
I km passano, la stanchezza aumenta, più volte mi chiedo se ha senso proseguire ma l'esperienza mi insegna che è la mente a mandarti questi dubbi, lei pensa a salvaguardare il fisico...io lo spirito!
Conosco benissimo, perché l'ho già vissuto sulla pelle, il vuoto che ti lascia dentro un ritiro soprattutto dopo così tanto tempo che sei in ballo...e non voglio riviverlo...ma è dura!
Ho investito e sacrificato troppo tempo, e non solo quello, per questa avventura, non sono disposto a mollare o scendere a compromessi per ricominciare tutto daccapo...devo finirla per non ritornarci mai più!
Dopo circa 500 km di gara mi arriva un messaggio "Michele se n'è andato...corri anche per lui !"
Non ci posso credere, quel Michele Cargiolli che racconto sempre ad ogni mia serata (cercate la sua storia che ha dell'incredibile), che da 35 anni è esempio di lotta contro la sua malattia rara, prima abbandonato dal mondo ma poi fortunatamente accolto da Paola Mazzuchi (che diventerà presidente dell'associazione Famiglie Lesch-Nyhan ) e dalla sua famiglia.
Proprio quel Michele che mi ha insegnato a lottare e a non mollare mai ora non c'è più, non riesco a trattenere le lacrime, in un attimo il suo ricordo scatena in me una tempesta che spazza via tutto e tutti, spariscono i se e i ma, spariscono i riferimenti alle soglie del dolore, alla fatica, alla sofferenza e alla privazione del sonno, spariscono i dubbi.
Si entra in un'altra dimensione, non si tratta più di una semplice gara, ora diventa una battaglia personale assieme al ricordo di Michele e per Michele...lo taglieremo assieme questo benedetto traguardo come abbiamo già fatto molte alte volte con I MaratonAbili e non solo.
Gli ultimi 200 km di gara saranno incredibili e indimenticabili, in quei ultimi 3 giorni e 3 notti sarà una lotta contro i cancelli orari e contro la stanchezza (non avrò più tempo per riposare), colpi di sonno, visioni, perenne stato di dejà-vu, stati d'animo che passano dallo sconforto all'euforia, emozioni indelebili ed indescrivibili.
In fondo all'ultima discesa vedo Barbara Brancaleone , la saluto come ho salutato tutte le altre persone che mi sono apparse durante le visioni, ma quando mi abbraccia capisco che è reale in carne e ossa.
Lei che si è sciroppata una trasferta di quasi 20 ore tra autobus e treno per venirmi a fare questa sorpresa è la cosa più bella e inaspettata che mi poteva capitare ... scoppio a piangere come un bambino.
Come tutte le avventure anche questa, dopo quasi 12 giorni, ha la sua fine.
Come dico sempre, tagliare il traguardo è solo una formalità, è come leggere l'ultima pagina di un libro, quello che conta davvero è tutto quello che hai raccolto (in termini di emozioni) e scritto in quel libro e che poi ti rimarrà dentro...per sempre!
Per la cronaca, dei 161 partenti solo 56 arriveranno al traguardo e io tra gli ultimi.
Ora, potete liberamente pensare che abbia fatto scelte azzardate, esagerate, rischiose, insensate e che in fin dei conti non ne valeva neanche la pena...tutto comprensibile!
Quello che vi posso dire io, è che quella "sottile linea rossa" fino alla quale uno può spingersi è un insieme di stimoli e motivazioni difficili da spiegare, è qualcosa di molto soggettivo, di intimo, oserei dire quasi spirituale ma soprattutto non è soggetta al giudizio altrui, se non del singolo a posteriori.
Mai avrei immaginato di vivere una avventura così (certo se non avessi avuto quei problemi fisici l'avrei vissuta più serena) ma sono proprio queste difficoltà (e a me capitano spesso) e il saperle superare a rendere queste avventure ancora più intense, totalizzanti, uniche e irripetibili.
Il tempo sistemerà le ossa e le ferite e spazzerà via anche i brutti ricordi per lasciar affiorare solo quelli belli...come un arcobaleno che spunta dopo la tempesta.