Ultrabericus, la classica dei Colli Berici

testo di Dario Pedrotti

Raccontare l’Ultrabericus ai lettori e alle lettrici di Spirito Trail è come raccontare Casablanca agli amanti del cinema. Trovare fra i secondi qualcuno che non lo abbia già visto 5-6 volte, è difficile almeno come trovare fra i primi qualcuno che questi “Un passo fuori dall'asfalto, due passi oltre la maratona”, non se li sia già fatti almeno un paio di volte, in senso orario e in senso antiorario. Perché sì, fra i vezzi degli organizzatori dell’UBT, oltre a quello di andare ogni volta a scovare qualche sentiero nuovo per limare via qualche metro in più di asfalto, c’è quello di cambiare ogni anno senso di percorrenza: orario negli anni pari, antiorario in quelli dispari.

 

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© E. Gouthier

 

Se siamo qui di nuovo a raccontarvela è perché nessuno si è mai sognato di lamentarsi se la mamma o il papà, mentre gli occhi si chiudevano e la testa sprofondava nel cuscino, iniziavano a narrare della bambina con il cestino e la cuffietta rossa, o della bella fanciulla con la matrigna cattiva.

Non è un caso che il giorno in cui quelli con le scarpe e lo zainetto da trail si ritrovano a Vicenza in Piazza dei Signori per cercare di tornarci un po’ di ore dopo, sia ogni anno lo stesso in cui quelli con la bici sotto il culo si trovano dalle parti di Milano per pedalare fino Sanremo. Grande classica di primavera una, grande classica di primavera l’altra, ma a Milano erano in 175, a Vicenza in 1.800.

Quest’anno niente fango, grande classico di questa classica, che il clima sahariano di questo 2023 ha negato ai partecipanti, e una temperatura perfetta per correre, di cui qualcuno ha comunque trovato modo di lamentarsi. Soprattutto quelli che dovevano giustificare il fatto che, neanche a metà della “marathon”, la nuova distanza creata per chi non si sentiva ancora pronto per la 65 km, ma 21 gli sembravano troppo pochi, erano già lì a vomitare a lato del sentiero, dimostrando che un trail non è mai il caso di sottovalutarlo.

Come succede ascoltando Cappuccetto Rosso o Biancaneve, è andato tutto esattamente come al solito, ed è stato tutto assolutamente nuovo. Soliti milioni di primule e violette lungo i percorsi, soliti migliaia di sorrisi e cazzate sui volti e nelle bocche di partecipanti, volontari e volontarie, solite planate a pelle di leone e ginocchia sfregiate per un piede che non si stacca abbastanza da terra, soliti smadonnamenti in tutti i dialetti d’Italia per il piattone prima dell’ultimo ristoro, implacabile per chi vuole vincere come per chi lotta solo contro i cancelli orari. Ma nuove soddisfazioni dopo il gonfiabile in piazza, nuovi dolori alle gambe i giorni successivi, nuove amicizie strette fra un boschetto e una salita, nuovi “mai più!” e nuove “quando è la prossima?”, e mentre i primi sono evaporati in un paio d’ore, le seconde rimarranno davvero lì fino alla “prossima”, qualunque essa sia.

L’Ultrabericus è talmente “una gara di una volta”, che, come alla Marcialonga, ci sono i Senatori, quelli che non se ne sono persa neanche una edizione e che per questo secondo gli organizzatori si meritano l’iscrizione gratuita. A correre tutte e 12 le edizioni sono stati in 11, otto senatori e 3 senatrici, delle quali la più anziana, la mitica Natalina Masiero, quest’anno ha già soffiato sulla torta con 70 candeline, e nel post che ha scritto dopo la sua gara, ha già iniziato a parlare della edizione 2024.

Edizione 2024 che sarà quella del “-1”, dato che quest’anno è stata quella del “-2”, come campeggiava sulle magliette presenti nel pacco gara. Sotto, più in piccolo, c’era scritto “18 marzo 2023, la penultima, io non corro per la maglietta”. La spiegazione gli organizzatori l’hanno data già prima della gara, in un post sulla pagina Fb che ha suscitato un notevole dibattito fra i lettori: “Da anni l’Ultrabericus persegue la sua idea: si corre per la gara, per il percorso, per lo sport e per il contesto, non per il pacco gara, i gadget, le magliette. Per questa ragione negli anni abbiamo avuto omaggi sempre più essenziali, togliendo tutto il superfluo, abbiamo bandito l'utilizzo della plastica, e le medaglie finisher sono realizzate a mano, in legno, da una Cooperativa Sociale. Il -2 sulla t-shirt sta a indicare che quella di quest'anno sarà la penultima maglia Ultrabericus. In futuro a chi chiede cosa c’è nel pacco gara risponderemo che il pacco gara non c’è, perché non serve”. Calcolatrice alla mano, se la produzione di una maglietta di cotone richiede mediamente 2.700 litri d’acqua, nel 2025 verranno risparmiati qualcosa come 4.860 metri cubi di quello che ormai da anni viene chiamato “l’oro blu”, pari al consumo medio annuo di circa 25 famiglie.

L’Ultrabericus si corre sui Colli Berici, “formazione particolare nella pianura alluvionale su cui sorge Vicenza, originatisi sul fondo di un antico mare nell'arco di almeno un centinaio di milioni di anni”. La loro roccia è calcarea, e chi ne sa di geologia, sa che è da quella roccia che viene la dolomia, la materia fantastica di cui sono fatte le Dolomiti. Nella maggior parte dei casi, a far diventare magica quella roccia tanto banale, è stata solo “una parziale sostituzione degli atomi di calcio con quelli di magnesio”.

Enrico Pollini e il suo team non ne avevano abbastanza, di atomi di magnesio, per trasformare i Colli Berici nelle Tre Cime di Lavaredo, ma quelli che hanno trovato rovistando in tutte le tasche e nei loro vecchi zaini, sono stati più che sufficienti, per dare all’Ultrabericus un fortissimo sapore di LUT.

 

Diego Angella Ph. M.Ferretto

© M. Ferretto

 

https://ultrabericus.it/

Classifiche: https://www.wedosport.net/vedi_classifica.cfm?gara=55316