LA VERSIONE “CIME TEMPESTOSE” DEL GARDA TRENTINO TRAIL EXTRA

Testo di Dario Pedrotti

 

 

Il Garda Trentino Trail Extra è molto molto bello e molto molto duro. Le condizioni meteo fanno cambiare il numero di “molto” davanti a “bello” e davanti a “duro”, e questa bagnatissima prima edizione 2023 si merita sicuramente almeno un raddoppio dei primi. Quanto ai secondi, dipende dai gusti: a me ad esempio la versione Cime Tempestose è piaciuta parecchio, anche se alla ventesima volta che ha ricominciato a piovere mi sono un pelo innervosito (ma proprio solo un pelo, perché con i disastri che la pioggia ha causato in tanti altri posti, lamentarsi solo perché ci si è bagnati un po’ troppo, sarebbe stato davvero di cattivo gusto).

 

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l Garda Trentino Trail aveva già una solida tradizione fra edizioni estive ed invernali delle sue gare dai chilometraggi vari, accomunate dalle splendide viste sul principe dei laghi italiani. Quest’anno, senza che cadesse qualche anniversario particolare, hanno pensato di esagerare, mettendo sul piatto una 150 km che già parecchio prima dell’arrivo ti cancella a secchiate di acido lattico quello sciocco pensiero che ti era girato in testa prima del via: “chissà perché già che c’erano non hanno fatto una 100 miglia…”.

Il tracciato si allontana parecchio dal Garda, andando a sconfinare sulla Valle dell’Adige e in laterali della Valle di Ledro dimenticate da Dio e dagli uomini, ma quello che ne viene fuori è davvero un viaggio intenso e appagante, ricco di sfaccettature diverse. Inoltre la scelta di non balisare il percorso e di affidare completamente al gps la navigazione dei concorrenti, ha potenziato al massimo il gusto, e la fatica, di guadagnarsi ogni chilometro.

Usciti dal centro di Arco e scavalcato il dosso alle sue spalle, il primo tratto risalendo la Valle dei Laghi è un lungo riscaldamento, impreziosito dall’incredibile ambiente delle Marocche di Dro, un gigantesco sistema di antiche frane postglaciali. Poi, superato il lago di Cavedine e la prima salitella che porta a Vigo Cavedine, si inizia a fare sul serio, con l’impennata che porta ai 1737 metri della Becca e poi con un lunghissimo traverso che non concede un attimo di tregua, per i continui saliscendi, il fondo sconnesso, e i numerosi punti a strapiombo dove non è il caso di distrarsi.

 

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L’ultimo strappo fino alla cima del Monte Stivo, in condizioni normali sarebbe ripagato da uno degli scorci più belli dell’intero lago di Garda, con svariate catene montuose a cavallo fra Trentino e Lombardia a fare da sfondo, ma non quest’anno: freddo, pioggia e nebbia, che riduceva la visibilità ad un paio di metri, hanno spinto i concorrenti ad iniziare al più presto i 13 km fino alla base vita di Mori, primo luogo dove trovare del cibo, in questa formula “hard” che oltre alle balise ha eliminato anche i ristori.

Poi l’Altissimo, di nome e di fatto, poco meno di 2000 metri D+ e subito dopo D-, con in cima un tempo da lupi che rendeva complicato seguire la traccia anche ai navigatori più esperti, dato che in alcuni punti il sentiero era davvero evanescente e la visibilità, con la luce della frontale riflessa dalla nebbia, non superava il mezzo metro.

Il premio per essere arrivati vivi in fondo alla infinita discesa verso Torbole, erano 5 chilometri sul lungolago, con l’acqua grigia da una parte, i tedeschi che facevano colazione dietro ai vetri degli hotel dall’altra, e le anatre che scappavano davanti.

 

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Dopo la salita lungo la Ponale e il saluto al lago a Punta Larici, la gara si è immersa nelle foreste, accese di quel verde delle nuove foglie dei faggi che è pura voglia di rinascita, seguendo una altimetria che qualche addetto ai lavori commentandola prima del via aveva definito “concepita dal maligno”. Il tutto, abbuffandosi di una delle ultime mode in fatto di meditazione e dintorni, “i bagni di foreste”, qui declinati nella versione “bagni (abbondantissimi) in foresta”.

L’orzotto alla salsiccia e alle verdure servito caldo all’ultima base vita di Tiarno di Sotto si è rivelata fondamentale per sopravvivere alle due micidiali salite successive, di una cattiveria quasi eccessiva per delle creature che avevano già più di 110 km nelle gambe, ma che, superato l’ultimo metro dell’ultima, hanno dipinto sulla faccia di chi è riuscito a domarle, un ghigno di soddisfazione che neanche le palate di fango della discesa dal rifugio Pernici hanno potuto cancellare.

Dalle deserte stradine di Canale, dove il Presidente dell’ASD Garda Trentino Trail in persona ha aggiunto un ristoro fuori programma in funzione per tutta la notte, per guadagnare l’agognato traguardo è bastato superare gli ultimi 400 metri di dislivello del Monte San Pietro, e soprattutto non rompersi l’osso del collo in discesa, prima sul fango e poi su un maledetto sentiero pietroso che ha costretto a guadagnarsi ogni singolo metro (nel mio caso, 30 minuti per fare 2 km in discesa…) fino ai 4 km finali fra gli olivi e al rettilineo di arrivo.

 

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Il primo, lo svedese Petter Restorp, per tornare sotto il campanile della Collegiata di Arco dopo 150 chilometri e 10.000 metri di dislivello, ci ha messo meno di 24 ore, seguito da Alexander Rabensteiner in 25 ore e 10 e da Marco Gubert in 25 ore e 39 minuti. Gli ultimi quattro arrivati al traguardo, lo hanno fatto insieme in 47 ore e 30 minuti.

Venticinque finisher su 43 partiti, e c’è da giurare che molti di loro, mentre ancora hanno i piedi gonfi e i quadricipiti che urlano ogni volta che si alzano da una sedia, stanno già pensando che forse varrebbe proprio la pena di riprovarci senza pioggia, che chissà che bello deve essere sull’Altissimo di notte con la testa fra le stelle, e a Punta Larici con il sole che si specchia nel Garda e il cielo azzurro sopra.

 

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