MERITOCRAZIA

Paco, ieri cadeva il terzo anniversario della tua scomparsa.

Me ne sono dimenticato e oggi i sensi di colpa mi tormentano… ti sto dimenticando? Non voglio scordarmi di te, non voglio dimenticarmi le tue parole. Che rimangono forti, estreme, radicali (per usare una parola che ti piaceva)…e che ottengono l'effetto di farmi vergognare ancora di più. Del poco che ho dentro. Del poco che lotto. Del poco che mi ribello. Del tempo che spreco. Dei compromessi che faccio. Del poco che oso.

Leonardo Soresi



MERITOCRAZIA

Testo di Francesco “Paco” Gentilucci

Lavoro.

Ci hanno cresciuto facendoci interiorizzare il valore del lavoro. Ci hanno inculcato l’idea che chi lavora per tre giorni di fila, senza staccarsi dal pc, è una persona che merita rispetto.

Conosco troppa gente stressata a causa del lavoro. C’è chi non dorme, chi non prende ferie, chi non ne può più. Tutte le persone della mia età che hanno un lavoro che si sono guadagnati per via meritocratica, dopo anni e anni di studio e stage, sono sottopagati, stressati e ritengono giusto lavorare tutto il giorno con una paga miserabile. Conosco troppe persone che meritano un lavoro e non lo hanno, e viceversa.

In una realtà come quella lavorativa attuale, dove non esiste meritocrazia, (sfido a dimostrare il contrario), le persone nutrono rispetto in coloro che si ammazzano di lavoro. Le persone giudicano chi lavora troppo come una persona rispettabile. Loro giudicano chi si oppone a questa idea come un ozioso, un piantagrane.

La storia è piena di schiavi di cui nessuno ricorda il nome.

Nutro una stima enorme per tutta quella generazione di arrampicatori che viveva alla giornata, col sussidio di disoccupazione, scalando vie sempre più radicali, innalzando il livello senza aiuti economici. Mark Twight, Paul Pritchard, Andy Cave.

Domattina prova a dire a qualcuno che hai passato l’intera notte in piedi perché hai corso. Penserà che sei stupido, o quantomeno, un deviante. Ti guarderà con occhi pieni di giudizio, invece che di empatia o stima.

Perché?

Correre ci rinforza. La meritocrazia della corsa è schiacciante. Non c’entra nulla la classifica, quanto l’autocritica: capire di essere assolutamente ininfluenti, a prescindere dal nostro impegno. In un ultratrail gli ordini non esistono, non ci sono ruoli sociali. Nella corsa in montagna, quella vera, non esistono il cronometro o i chilometri, la classifica è un fattore secondario. Gran parte del tempo lo passi correndo da solo e riflettendo. La gara è solo un’eventualità. Non devi dimostrare proprio niente a nessuno.
Quando hai finalmente sistemato i conti con te sei soddisfatto e felice. Se corri per metterti in mostra per gli altri, durerai poco.
Molti di noi correndo si liberano per un po’ dal peso di etichette che hanno addosso, riescono ad essere fieri di essere ciò che sono.

Lasciatevi venire le occhiaie per le poche ore di sonno.
Ridete all’idea della vostra faccia sbattuta il giorno dopo al lavoro.
Siate fieri di spendere la vita in qualcosa che vi piace.

Uscite fuori e correte finche vi reggono le gambe.

È un ordine.