RUBRICA SENTIERI INTERROTTI
di Filippo Caon
Siamo stati bene tutto il giorno, nonostante tutto: fino ad ora sono state le trenta miglia più lunghe della mia vita, e ne mancherebbero altre venti. A dire il vero potremmo anche farle, ma il California riscaldato dall’altro lato della strada è una visione troppo seducente, e tutto sommato ci siamo anche rotti le palle di vedere sassi.
Ora sono in macchina, un po’ sonnecchiante sulla statale per Trento. Sto pensando che fino a qualche tempo fa mi sarei fatto amputare un piede piuttosto che fermarmi: come vuole la classica visione secondo cui possono anche venire giù i sassi dal cielo, ma di fermarsi non se ne parla, perché ci sono i coyote dietro i cespugli pronti a finirti. Probabilmente queste cose aiutano le persone a finire le gare, può essere, ma mi ricordano i bambini che fingono di fare la guerra; con la differenza che i bambini sanno di fingere. La ragione per cui ci convinciamo di queste cagate è una questione fondamentalmente maschile, fatta di testosterone e musichette da Pirati dei Caraibi. Tutte cose di cui insomma questo sport potrebbe fare anche a meno, e che sono anche un po’ vecchiotte. Il fatto è che la vediamo come una cosa troppo seria, o almeno più seria di quanto non lo sia veramente.
Quella dell’altro giorno è stata la prima volta in cui ho gettato la spugna, e in tutta onestà non avevo nemmeno una ragione valida per farlo: il massimo del disonore insomma. Poi, appena montati in macchina, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, Giulio se ne è uscito con una frase stupenda: «ritirarsi è proprio bello». Ha ragione. Mi vengono in mente le parole di Tom Hanks, col cappellino dei gamberi e le Nike Cortez, in mezzo alla Monument Valley: «sono un po’ stanchino, mi sa che me ne torno a casa». Non capisco per quale ragione cerchiamo ancora certe cose. Forse abbiamo bisogno di sentirci più duri.
Il sentiero da interrompere, questo giro, è quello che porta a valle prima del tempo, è il sentiero della vergogna.