FKT: basta!

RUBRICA SENTIERI INTERROTTI

di Filippo Caon

Ph. Elisa Bessega 

Questo mese il sentiero non è interrotto, ma è spianato e liscio come una pista da bowling. Per questo motivo, per una volta, la sbarra gialla ce la mettiamo noi.

Da una cosa che in Italia fino a qualche mese fa era semi sconosciuta, ad alcuni di noi gli FKT stanno iniziando a uscire dalle orecchie. Questo perché come tutte le cose quando le si vuole tutte e subito rischiano di restare indigeste. E siccome una cosa tira l’altra, dopo le riviste, le seconde ad accorgersi del successo dell’acronimo sono state le aziende, che hanno pensato fosse meglio scongelare gli atleti migliori, ancora ibernati dall’inverno, e mandarli a raccattare qualche record e a riempire le poche prime pagine dell’anno. Il risultato è che in Italia di FKT è passata molto bene la ‘effe’ (Fastest), ma è rimasto gran poco del suo senso originale: un percorso logico e collettivamente significativo approcciabile da chiunque con gli stessi mezzi.

 

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Al contrario, gli FKT italiani degli ultimi mesi (la Tosa, le Tredici Cime, il Gran Paradiso, l’Ortles, Capanna Margherita, la Presanella) sono quasi tutti percorsi alpinistici che chiunque di noi affronterebbe con un paio di ramponi e una mezza nello zaino. Il che, sebbene corrisponda al significato letterale di FKT (“tempo più veloce conosciuto”, nel caso qualcuno non lo sapesse ancora), c’entra poco col suo significato culturale, ricordando appunto più un record alla Dani Arnold (ma un po’ dei poveri) che un giro di corsa.

Credo che tolto l’ossigeno e un altro paio di cose in montagna sia concesso tutto, e che la libertà di approcciarsi ad essa a modo proprio sia fondamentale. Ma per non perdere niente per strada chiamerei le cose col loro nome, e questi non li chiamerei FKT. Non credo che recepire soltanto il significato cronometrico di FKT sia un problema in sé, il problema è quando non rimpiazziamo quello che abbiamo buttato via: in questo caso, il senso di comunità che caratterizza questo sport.

Io le settimane di quei record le ho passate tra il Lagorai, a fare un po’ di assistenza ai ragazzi della Translagorai Classic FKT Run, e a Destination Santa. E dopo mesi a digiuno di certi sapori non vedevo l’ora di condividere per qualche giorno quell’entusiasmo con altre persone. In quel momento (in realtà non in quel momento) ho capito che dei record tutto sommato mi importava veramente poco, sapere in quanto tempo chi avesse fatto cosa e se si fosse portato lo zaino da solo o no. Ma non tanto perché fare una cosa in un certo tempo non abbia importanza, invidio chi va forte, sia chiaro, una cosa non esclude l’altra; e nemmeno perché quello che ho fatto io sia migliore o peggiore. Ma la corsa mi interessa come fatto culturale, ancora prima che come gesto sportivo. Del resto mi importa meno. Ma senza cultura non mi interessa affatto.

Tutto sommato nemmeno un DNF sarebbe una gran tragedia, non più di tanto almeno, se alla fine ci sono un gruppo di amici e un paio di parole intelligenti da scambiare, soprattutto. La fatica è una cosa personale, ma non devo convincermi di avere i tedeschi alle costole per arrivare da qualche parte: si può correre e fare fatica anche divertendosi, e ci si può divertire anche correndo da soli, ma da qualche parte c’è una comunità, ed è fondamentale. Questo dovrebbe riguardare sia chi va forte sia chi va piano. Credo sia questo il senso degli FKT.

Gli FKT in Europa non funzioneranno mai; di questo ne sono convinto. E alla prima gara di questi record ci resterà soltanto una mappa piena di puntini arancioni, che non significheranno niente per nessuno. Però un’idea ce l’ho, per dare un po’ di senso a tutto quello che abbiamo fatto. Ed è smetterla di fare FKT, di crearli intendo. Non credo che ce ne sia più realmente bisogno: siamo un paese piuttosto piccolo e di puntini arancioni in pochi mesi ne abbiamo messi abbastanza. Non dico di non farne più, ma nemmeno di andarli a cercare a tutti i costi: sono convinto che quando troveremo un percorso adatto lo diventerà da sé, o quasi, non c’è bisogno di inventarlo. Andiamo a ripetere quelli che ci sono già piuttosto. Supportiamo le idee degli altri, e le loro intuizioni.