Sesta tappa - VALTOURNANCHE - OLLOMONT
Sottotitolo: "Se faccio il Tor come un viaggio, il minimo che mi posso aspettare è la maledizione di Montezuma: una bella dissenteria, la maledizione del viaggiatore!"
Alla base vita di Valtournanche come prima cosa decido di farmi una bella doccia dopo aver prenotato un bendaggio per i piedi (che sono sempre in ottime condizioni) con Tobia e un massaggio con la sua amica massaggiatrice.
Non so se è a causa della pioggia della scorsa notte ma i vestiti e le calze sono veramente sporchi e infangati. Perfino le mutande sono infangate. Non avrei potuto continuare senza cambiarmi e farmi una doccia, così mi avvio nello spogliatoio dove avviene un episodio curioso: mentre mi sto spogliando e altri concorrenti girano nudi, entra una signora sulla quarantina, addetta alle pulizie. Tutti la guardiamo con un attimo di imbarazzo, ma lei lascia tutti interdetti: "Non vi preoccupate che nella vita ne ho visti di piselli e qui non ne vedo uno che possa stupirmi particolarmente..." Sorride e continua a pulire le docce e lo spogliatoio. I concorrenti stranieri sono quelli che rimangono più turbati dall’episodio e si coprono le parti intime con le mani.
Nonostante la signora non si faccia problemi, ho un minimo di pudore e mi porto l'accappatoio nella doccia, in modo da non uscire, una volta terminato, mostrandomi come mamma mi ha fatto.
Come sempre prima di affidarmi ai massaggiatori mangio abbondantemente: pasta e riso al sugo, yogurt con la frutta e un po' di salumi (mocetta e prosciutto cotto) con il pane. Bevo diversi bicchieri di succo ACE e una bella birra media (anche se sono le 10 di mattina e forse dovrei bermi un caffè).
Mangio nella sala teatro adibita ad area massaggi per aspettare il mio turno e appena Tobia si libera mi faccio rifare il bendaggio ai piedi (anche se uso le calze con le dita e la crema Nok il bendaggio contribuisce ad azzerare la possibiltà che si formino vesciche). Oltre ai piedi mi faccio bendare la parte bassa della schiena per evitare che gli arrossamenti dovuti alla sfregamento dello zaino si trasformino in ferite. Tobia ci mette molto tempo, è molto scrupoloso e fa il bendaggio con grande attenzione. Questa è l'ultima volta che mi farò bendare e massaggiare fino a Courmayeur...quindi il suo lavoro dovrà durare due tappe.
A questo punto è il turno della mia massagiaTOR che mi fa mezz'ora piena di massaggio. Mi rilasso leggendo e rispondendo ai messaggi su runningforum, al gruppo di whatsapp (Corry, Augusto e Andrea) e telefonando a mia moglie.
Come sempre è bello parlare con Silvia e mi carica molto positivamente. Dopo aver parlato con lei ogni problema sembra risolvibile e torna il sereno.
Tatiana, la massaggiatrice, mi scioglie ogni minimo indurimento e contrattura e quando mi alzo ho le gambe fresche come se avessi corso una dieci chilometri. Ringrazio e do appuntamento ai miei angeli custodi a Courmayeur, lì, a fine gara, dovranno rimettermi in sesto.
Vedo entrare @Corry, è appena arrivato...non è messo bene, mi sembra un po’ smarrito. Non riesce a muovere la testa lateralmente, ma solo un poco verso l'alto. Mi chiedo come faccia a continuare in queste condizioni. È un vero esempio di resilienza o, forse, come tutti noi, è solo un testone incosciente. Lo saluto affettuosamente (chissà se sono riuscito a trasmettergli la mia ammirazione per la sua resilienza?) e mi concentro sui preparativi per ripartire. Perdo un sacco di tempo per rivestirmi e soprattutto per rifare e richiudere la borsa gialla. Ho tirato fuori troppa roba e non ho ripiegato la roba sporca, così per richiuderla devo saltarci sopra e farmi aiutare da un volonTOR. Per fortuna la borsa è robusta e non scoppia (qualcosa di buono la fa pure l’organizzazione).
Esco dalla base vita alle 12:08 e devo affrontare una delle salite che solitamente odio di più, quella alla diga di Cignana e al rifugio Barmasse. Non so perché non mi piace, forse perché fatta in tarda mattinata è tutta al sole e di solito fa molto caldo (come nel 2018), o forse perché non mi piace questa enorme diga articiale che deturpa il paesaggio e incombe sopra le nostre teste. Mi fa sempre venire pensieri cupi (come la diga della Grande Dixence alla Swiss Peaks), perché mi torna in mente la tragedia del Vajont e tutti quei morti causati dall'arroganza e dalla stupidità umana.
Questa volta però non soffro più di tanto e affronto la salita agilmente. Un po' è merito del massaggio che mi ha rigenerato le gambe e un po' di un signore piemontese con cui chiacchiero per tutta la salita. Lui ha fatto sette Tor (questo sarà l'ottavo se arriverà a Courmayeur) e mi dispensa un sacco di consigli, aneddoti e storie. Mi racconta anche dell’anno in cui il Tor fu fermato ad Ollomont e lui fu comunque dichiarato finisher, una cosa che sembra impossibile ripensandoci oggi con questa bella e tiepida giornata di sole.
Alle 13:53 sono al rifugio Barmasse e bevo un bel caffelatte con biscotti e crostatine. Non voglio fermarmi troppo. Riparto correndo a ritmo abbastanza sostenuto. Il primo pezzo dopo il rifugio è quasi tutta strada in falsopiano in discesa, così dopo pochi metri semino il mio amico piemontese che ha qualche annetto di più.
Sto proprio bene e corro spensierato, tanto spensierato che, per la prima e unica volta in questo Tor, sbaglio percorso. Invece di prendere il sentiero a sinistra rimango sulla strada. Quando me ne accorgo (perché mi chiama un altro concorrente) ho percorso circa 400 metri, ma non me la prendo e torno sui miei passi di buon umore.
Dopo poco finisce la discesa e inizio la salita verso la finestra d'Hersaz e ricordandomi il percorso del 2018 penso di raggiungere a breve il ristoro. Ma il percorso dallo scorso anno è cambiato e il ristoro è dopo la Fenetre. Non raggiungendolo come da aspettative cin poco tempo comincio a innervosirmi e, forse per colpa della testa, vado in crisi. Non è una crisi devastante, ma non riesco a tenere il passo che vorrei.
Passo la finestra senza quasi godermi la bellissima vista e faccio il selfie di rito solo perché devo per la raccolta fondi.
Nel tratto successivo in discesa arranco un po’ e finalmente arrivo al ristoro di Vaeton. Pensando che la crisi sia dovuta ad una crisi energetica cerco di mangiare, ma non ci riesco. Mi sento la pancia gonfia, ma allo stesso tempo lo stomaco vuoto. Ho dei crampi all'intestino e quindi provo ad andare in bagno ma non riesco a liberarmi.
Riparto portandomi dietro mocetta, prosciutto cotto, fontina d'alpeggio (buonissima) dell’azienda agricola che ospita il ristoro e pane…mangerò strada facendo mi dico.
Pian piano mi riprendo e arrivo alla Fenetre du Tzan di umore sicuramente migliore.
Ma troppi pensieri mi frullano in testa e so che il cervello consuma zuccheri per funzionare. Così cerco di smettere di pensare e di staccare il cervello e mi lancio in discesa verso il rifugio Magià. Corro come un matto, salto da una roccia all'altra e supero un sacco di concorrenti che mi avevano passato durante la mia lenta salita. Voglio dimostrare a me stesso che sto bene ma non è così, e infatti quando la discesa spiana e potrei correre fino al Magià, vado in tilt e mi ingolfo. Mi comincia a girare la testa, la testa mi bolle, mi sento la febbre e sono privo di energia. Vado un po' in panico, ma non voglio smettere di correre. Comincio a pensare di avere il Covid e ogni altro tipo di malattia. Fortunatamente arrivò al rifugio senza mai cadere.
Entro alle 18:48, stravolto. Chiedo subito un medico e un branda per dormire 2 ore. Purtroppo il medico c'è solo al rifugio Cuney (bizzarra scelta dell'organizzazione...).
Decido di mangiare e andare a dormire. Mangio con calma e bevo un sacco di acqua gassata e succo d'arancia. Un po' mi riprendo, anche se la testa mi scoppia e la sento bruciare. Mi faccio accompagnare al piano di sopra per dormire da uno dei volontari (l'ho già detto che sono dei santi?). Mi spetta un posto al piano superiore di un letto a castello matrimoniale. Ho freddo anche se fa caldo e cerco di avvolgermi meglio che posso nel piumino. Tossisco di continuo come se avessi la tubercolosi.
Stando disteso il catarro mi riempie la gola e ogni tanto mi sembra di soffocare.
I compagni di stanza mi maledicono. Dormo un sonno tormentato e agitato dagli incubi. Uno di questi incubi, il peggiore, ha come protagonista @Gamba. Sogno che sta dormendo accanto a me (e già questo è un incubo…). Gli parlo, gli dico che non può essere qui, era troppo indietro. Lui mi risponde che se mi ha raggiunto vuol dire che forse sono morto e il mio corpo è rimasto al magià.
Dopo un'ora e mezzo mi sveglio da solo, prima che lo facciano i volontari o che suoni la sveglia dell’orologio. Sono tutto sudato, ho avuto un sonno travagliato, ma mi sembra di stare meglio. Non ho più la febbre, ma ho ancora un peso sullo stomaco o forse, nello pancia. Vado in bagno e mi libero. Ora sì che sto molto meglio…
Bevo un caffè, mangio un po' di biscotti e sono pronto per ripartire verso il rifugio Cuney. Mi vesto in fretta ed esco nel buio della notte scura e senza stelle.
Questa salita mi è sempre piaciuta... ma questa notte la trovo più ripida e difficile delle altre volte. Il mio umore è cupo, ma mano a mano che mi avvicino al rifugio e al Santuario di Cuney mi sembra che migliori. Sono sempre più sereno e ottimista.
Il Santuario di Cuney è un luogo "speciale", un po' magico. Per chi non lo sapesse è il santuario mariano più alto d'Europa (2652mt). È uno dei miei luoghi preferiti al Tor e la leggenda che lo riguarda è sicuramente la più bella tra quelle che riguardano le alte vie valdostane: prima della costruzione del santuario l'area era frequentata per la presenza di una sorgente benedetta dove gli abitanti delle zone limitrofe vi si recavano per pregare nei periodi di grave siccità. Un'estate, dopo il disgelo, alcuni pastori nei pressi della fonte trovarono una statua della Madonna e la portarono a Lignan per riporla nella chiesa, ma la statua durante l'inverno scomparve misteriosamente. L'estate seguente fu ritrovata miracolosamente nell'area del primo ritrovamento manifestando così il volere della Madonna di vedere eretto un santuario a proprio nome in quel luogo. Nel 1656 fu deciso di edificarvi una cappella che fu consacrata il 26 luglio 1659 e dedicata alla Madonna delle Nevi. La statua che ad oggi si può vedere all’interno del santuario, è in legno intagliato dipinto e in parte dorato risale alla fine secolo XVI. Considerando che l'epoca della costruzione del santuario coincise proprio con il periodo più acuto e rigido (1645-1715) della "piccola era glaciale", risulta facile immaginare il contesto assolutamente ostile e proibitivo nel quale avvenne la costruzione: un vero e proprio atto tangibile di fede mariana.
L'atmosfera mistica che pervade il vallone di Cuney mi ricarica e la fatica qui acquista un senso. Il santuario è chiuso e non posso entrare per una preghiera ma la sua energia positiva si espande tutto intorno e riscalda l’anima.
Entro nel tendone alle 22:59 e mi sento abbastanza bene.
Non ho sonno e mangio un po' di tutto. Non mi fermo molto, voglio ripartire e raggiungere al più presto il bivacco Clermont, uno dei ristori più accoglienti del Tor. Ricordo con piacere che nel 2018 le guide che gestiscono il bivacco mi cucinarono pasta con i funghi e coniglio alla cacciatora: una delizia! Non vedo l'ora di arrivarci, sogno quei manicaretti ad occhi aperti!
Esco dal ristoro subito dopo un ragazzo di Cesena, Nazario. Lui ha qualche centinaio di metri di vantaggio, ma lo raggiungo e lo supero poco prima del traverso che porta al col de Chaleby. La salita al colle è più lunga e noiosa di quanto mi ricordassi.
Nel 2018 feci questo tratto parlando tutto il tempo con un ragazzo finlandese appassionato di archeologia che mi raccontò che nella la conca di Chaleby, proprio in prossimità del sentiero, ci sono i resti pietrificati delle palafitte di un antico villaggio preistorico. In pratica uno dei più vecchi alpeggi o insediamento in quota d'Europa.
Ai tempi, io del vallone di Chaleby sapevo solo che c'era l'alpeggio di Fontin dove è nato e da cui prende il nome il più famoso formaggio valdostano: la Fontina.
Questa volta sono solo (Nazario è rimasto più indietro) e in più comincia a nevischiare. Io non sono abbastanza coperto, ma per pigrizia non voglio fermarmi e coprirmi.
Avanzare contro il forte vento frontale e i piccoli fiocchi di neve gelati che mi sferzano violentemente la faccia è una vera battaglia.
Poi, finalmente, un bagliore dietro un piccolo colle. Sono arrivato al Bivacco Clermont. L’orologio segna le 00:53, sono stanco ma felice di aver raggiunto un riparo sicuro.
Quest'anno le guide non hanno preparato i manicaretti del 2018 ma mi offrono comunque un'ottimo brodo caldo con la pastina e della mocetta fresca.
Il bivacco è affollato come la metropolitana di Milano all'ora di punta e per sedermi sulla panca devo far uscire dalla porta almeno due persone.
Mi trattengo al Clermont una mezz'oretta per riscaldarmi e ritemprarmi.
Mentre mangio e bevo chiacchiero con le guide parlando di scialpinismo e dell'idea di tornare al bivacco quest'inverno con le pelli.
La compagnia è bella ma alla fine è ora di andare.
Nazario e tutti quelli arrivati dopo di me sono già ripartiti.
Esco dal bivacco e subito vengo colpito da una raffica di vento freddissimo che mi gela le ossa. Sono ben coperto ma quando si esce da un riparo caldo è sempre dura ripartire.
Salgo veloce e deciso fino al Col de Vessonaz per cercare di riscaldarmi.
Tempo un quarto d’ora e sono al colle. Solito rituale del selfie e poi via di corsa per evitare il vento freddo e l’assideramento.
La prima parte della discesa è molto tecnica e il fondo di sfasciumi instabile.
Vedo alcuni concorrenti in difficoltà mentre io mi trovo piuttosto a mio agio su questo tipo di terreno e di discese: è sicuramente merito degli allenamenti fatti sulle Apuane scendendo dal Vallone dell’inferno o dalla Borra di Canala.
Scendo rapidamente, sicuro e determinato.
Appena il terreno spiana un po’ e diventa meno accidentato comincio a correre forte. Supero in successione 4/5 concorrenti e poi mi accodo a Nazario ed ad un altro ragazzo. Vedendo che tengo un buon ritmo mi chiedono di andare davanti a fare da apripista. Procediamo così per una mezz'ora finché comincio ad avere forti dolori alla pancia.
Mi devo fermare ed evacuare...loro vorrebbero aspettarmi ma gli dico di proseguire.
Ho dei crampi fortissimi e sono costretto a farla in mezzo al sentiero. Mi pulisco e mi rivesto giusto un secondo prima che arrivi un altro concorrente.
Ora sto meglio, ma comincio a pensare di essere vittima di una maledizione:
corro e sto bene, poi all'improvviso crampi, pancia gonfia, mancanza di energie e attacco di colite; mi fermo e mi libero, tutto sparisce e ricomincio a correre...fino alla crisi successiva. Mi immagino cosa possano pensare gli altri concorrenti di questo mio andamento altalenante: corro in discesa come uno da prime posizioni e dopo poco arranco come uno degli ultimi...
Forse a furia di pensare che il Tor è un viaggio, sono stato colpito veramente da una maledizione, la maledizione di Montezuma: la dissenteria dei viaggiatori.
Comunque non posso farci niente, quindi ricomincio a correre per raggiungere Nazario e l'altro ragazzo di cui non mi ricordo più il nome.
Ho cercato di memorizzare tutto quello che è successo durante questo Tor, ma non è facile ricordarsi tutto e io con i nomi non sono mai stato bravo!
Li raggiungo nei pressi di l'Arnou. Loro non tengono il mio ritmo, li saluto e gli dico che li aspetterò ad Oyace.
Proseguo e man mano che avanzo le bandierine gialle che segnano il percorso cominciano a diminuire, fin che ad un tratto, scompaiono completamente per almeno un chilometro. Questo avviene proprio in corrispondenza di una deviazione in salita (non prevista e non segnalata) per evitare una frana.
Ho il dubbio di aver preso il sentiero sbagliato o che qualcuno per dispetto o scherzo abbia cambiato le indicazioni e ci abbia mandato fuori percorso! Poi finalmente dopo quasi 20 minuti trovo un segno su un albero e una balisse. Sollevato proseguo di corsa fino al ristoro di Oyace, dove entro alle 04.27.
Mannaggia..., quanto tempo mi fanno perdere le mie crisi intestinali con conseguenti pit-stop: sono in ritardo di 4 ore rispetto al 2018.
Oyace è uno dei ristori meglio attrezzati del Tor, in pratica una base vita in miniatura:
c'è da mangiare di tutto (da bere, come sempre, solo quello previsto dall'organizzazione: acqua naturale, sali e Coca Cola), brande per dormire e anche la doccia, mancano solo i massagiaTOR!
Subito segnalo al responsabile del ristoro la mancanza di balisse nell'ultimo tratto di percorso... lui mi risponde che verificheranno, ma non mi sembra dare molta importanza alla mia segnalazione.
Mentre aspetto che mi scaldino del riso con il sugo chiacchiero con una volontaria. Quando arriva il piatto chiedo se si può avere una dose doppia di sugo al ragù, ma scopro che non è possibile perché non ce né più.
La volontaria si scusa e mi spiega che i volontari di Oyace hanno fatto una colletta per integrare la scarsità del cibo offerto dall'organizzazione, ma di ragù non sono riusciti a farne molto e purtroppo è finito, la mia era l'ultima porzione.
Basito dalla notizia (considerando che per partecipare al Tor abbiamo pagato 900euro), ringrazio la volontaria e mi vado a sedere su una panca per mangiare.
Ad un tratto mi rendo conto che Nazario e l'altro ragazzo non sono ancora arrivati. Torno quindi dal responsabile del ristoro e gli faccio notare che se i miei amici non sono arrivati, probabilmente si sono persi per la mancanza di balisse in corrispondenza della deviazione. Per fortuna proprio in quel momento entrano Nazario e l’altro ragazzo proprio prima che mandasero qualcuno a controllare.
Mi spiegano che erano rimasti fermi per un po' per capire se il percorso fosse giusto. Tutto è bene quel che finisci bene...ma le pecche dell'organizzazione rimangono.
Tutta questa situazione mi mette di cattivo umore: sono piuttosto deluso dall'organizzazione e mi spiace doppiamente perchè alcuni di loro sono miei amici.
Ne discuto animatamente con Nazario e alcuni concorrenti...forse distratto da tutto questo non mi accorgo che lascio sul bancone del ristoro il mio amato bicchiere in alluminio con il moschettone. In realtà è amato da me ma odiato da quasi tutti i concorrenti perchè quando corro sembra il campanaccio di una mucca...
Sono le 5, è ora di ripartire. Saluto tutti i volontari, li ringrazio e parto con Nazario e l'altro ragazzo.
Ci aspetta un tratto facilissimo (sulla carta) perchè a causa di una frana il sentiero per il Col de Brison è interrotto e la deviazione segue un sentiero più a valle.
Risparmieremo circa 700 mt di dislivello e 3/4 km.
In realtà il terreno non è così agevole a causa del fango e io vengo colpito da una delle mie crisi intestinali.
Procedo come uno zombie e avanzo ad un ritmo ridicolo. Nazario e l'altro ragazzo non mi vogliono lasciare indietro ma io gli dico di proseguire: voglio potermi liberare in solitudine. Mi allontano dal sentiero e faccio quello che devo fare. Questa crisi però, a differenza delle precedenti, non passa dopo essere andato di corpo.
Riparto con il morale sotto ai tacchi e le energie al lumicino.
Quando comincio a pensare che non ce la farò ad arrivare ad Ollomont e dovrò ritirami, come per miracolo, arriva inaspettato il ristoro di Bas Bruson.
Forse a causa della mancanza di lucidità non mi ricordavo che era previsto.
È un ristoro veramente precario, una tenda in mezzo al bosco o poco più, ma per me è una vera salvezza perchè mi permette di bere un tè caldo con qualche biscotto e riposare qualche minuto seduto. Passano pochi minuti e mi sembra di essere rinato.
Anche con la dissenteria, al Tor vale sempre la regola del "muori & risorgi":
un momento ti sembra di morire e di non poter fare un altro passo e l'attimo dopo corri come se stessi facendo una campestre a 16 anni.
Così riparto deciso abbozzando pure una specie di camminata veloce.
Dopo non molto, alle 8:27 mi registro alla base vita di Ollomont.
Nel 2018 a quest'ora uscivo dalla base vita, non entravo, ma le mie condizioni erano molto peggiori: avevo i piedi devastati dalle vesciche e pure la dissenteria.
Oggi non sto male, ma neanche benissimo, i piedi sono perfetti, ma mi accompagna (come una spada di Damocle) la paura che mi torni un attacco di colite.
Spero ancora e penso di poter stare sotto le 130 ore e l'anno prossimo fare il Tor des Glaciers…vedremo!
(sesta tappa - continua)