Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Anteprime e cronache

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Questa sezione è dedicata alle anteprime e ai racconti delle gare.
Nel titolo scrivete il nome della gara, la provincia e la data di svolgimento.
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subliminalpop
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Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

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LOTTERY

Una domenica sera di inizio dicembre, dalla terrazza del Brown Hotel a Syntagma guardo il Partenone mentre aspetto che comincino i festeggiamenti per un doppio compleanno nella capitale ellenica. Sposto gli occhi sul cellulare: “AHAHAHAH 4 biglietti e preso! Ora tocca correre 😛 WS100!”
Rileggo e non capisco.
Rileggo e capisco.
Panico-felicità-impossibile-panico-felicità-calcoli-felicità-panico.
Mii ero addirittura scordato fosse oggi la lotteria della Western States, anche perché non avrei potuto seguire la diretta.
Scrivo a Valeria, cerco rassicurazioni inutili, soluzioni immediate.
Lasciamo stare, ci penserò al ritorno.

RACE DAY

I giorni precedenti alla gara sono stati un tritacarne per turisti: in giro dalla mattina alla sera, mille cose da fare/vedere/mangiare, ma era quello che volevo e non posso lamentarmi. Ho insistito io, e non poco, affinché adesso, nella foto di rito prepartenza, ci siano anche Valeria, Francesca (mia sorella) e Valentina (mia nipote). Quella sera ad Atene sembra così vicina e invece ora mancano neanche dieci minuti allo start. Saluto la mia crew ed entro in zona partenza. Non c’è ressa, nessun bisogno di farsi largo, d’altronde siamo poco meno di 400 runners. Mi ritrovo a fianco di Courtney Dauwalter e Katie Schide che si salutano, sorridono: la tensione c’è, ma è positiva.
Quello che colpisce, nonostante sia la gara di ultratrail più famosa e ambita al mondo, è l’atmosfera quasi da tapasciata di paese. Niente musica pompata, nessun battimani richiesto. Ci sono più spettatori che corridori, assiepati tutt’intorno e lungo le prime centinaia di metri di percorso. L’eccitazione è palpabile nonostante il buio che nasconde le espressioni.
10, 9, 8… sparo!
È cominciata la mia prima cento miglia, la mia prima cento miglia americana, la mia prima Western States (50esima edizione della sua storia).

Nella salita dell’escarpment a farla da padroni sono il silenzio - che goduria non dover sentire il tic-tac ritmato di centinaia di bastoncini (qui sono vietati per regole del parco che attraverseremo) - e la luce che lentamente inizia a definire i contorni delle montagne.
Giunti in cima, poco prima di scavalcare Emigrant Pass, tra due ali di folla come se fossimo a un intimo Tour de France, il sole compare e, riflesso dalla neve, accende non solo i colori, ma anche la gara.

I primi chilometri nell’high country della Sierra Nevada passano veloci tra spazi infiniti, tratti innevati, bandierine da trovare e una mano a Camille Herron che continua a scivolare. Tutto riflesso nella luce del mattino che qui sembra più viva che mai. Quando il terreno diventa finalmente corribile, mi attacco a un trenino composto anche da Kaci Lickteig e Nicole Bitter. Sto andando troppo forte? Cosa ci faccio io qui con loro due? Eppure non mi sembra di spingere così tanto. Testa o cuore? Cuore!

All’aid station di Duncan Canyon quasi ne combino una delle mie. Un secondo prima di mettere piede all’interno dell’area, inciampo. Classica sequenza di movimenti alla Charlie Chaplin e finisco praticamente in braccio a uno dei volontari, che da lì in poi mi scorterà ovunque durante la mia permanenza. Questa sarà una costante ed è una delle peculiarità della Western States. L’insieme di gentilezza, prontezza e risolutezza dei volontari è qualcosa di incredibile. Ad ognuna delle aid station, nessuna esclusa, sembra di avere una crew personale in attesa del tuo arrivo: ti sfilano le borracce e ti chiedono cosa ci vuoi dentro, cosa preferisci mangiare, se stai bene, se vuoi del ghiaccio nella bandana, lì c’è l’acqua per bagnarsi e così via. Appena li lasci ti incitano, dicendoti che stai andando bene e che ce la farai, pronti per l’arrivo del prossimo bambino da accudire. Gli spettatori sul percorso, le altre personal crew nonché i runners, non sono da meno. Chiunque ha una parola di incoraggiamento. Anche se ognuno di noi ha un obiettivo personale, in fondo siamo tutti qui per lo stesso unico e grande motivo: correre la Western States al nostro meglio. Questo è il suo spirito.

A Michigan Bluff sono in orario sulla mia tabella per puntare al sub 24. Trovo per la prima volta Valeria, Francesca e Valentina. Come sempre, anche se probabilmente non lo do molto a vedere, loro sono una spalmata d’arnica sul mio morale. Vorrei durasse di più - parlare, descrivere, condividere - ma ci sarà tempo dopo e il tempo scorre. La sosta è breve: cambio scarpe, canotta e cappellino. Un bacio, un cinque alto e riparto, pronto ad affrontare i famigerati canyons (anche se quest’anno le temperature previste sono per lo meno umane).

La prima discesa e conseguente risalita verso Devil’s Thumb è il punto di svolta della mia gara: vado in crisi per la prima volta. Ogni tot metri di dislivello, pochi, pochissimi, devo fermarmi perché le mie orecchie pompano come la sala macchine del Titanic che affonda. Cerco di stapparle, respirare lento e profondo, ma dopo poco che riparto tutto si blocca di nuovo. Da lì, se non per brevi momenti, non si riprenderanno più.
All’Aid Station di Devil’s Thumb, dopo una pausa troppo lunga sulla sedia, quasi mi cacciano a calci nel culo fuori di nuovo, dicendomi che se voglio la Silver Buckle (ovvero il sub 24) è ancora a portata di mano. Va bene, vi credo. Mi alzo e sono di nuovo in corsa, o quasi. Almeno fino all’attacco del prossimo canyon. Se il primo è stata una coltellata, il secondo è l’affondo. Stessi problemi del precedente, pause forse ancora più lunghe. Devo procedere a strappi perché altrimenti mi sembra che la testa sia pronta a scoppiare. Due rampe e mi fermo, altre due e una piccola sosta. Almeno così ogni tanto ammiro il panorama, se è a portata.
Verso Michigan Bluff di male in peggio: un dolore lancinante al basso fianco non mi permette di correre nemmeno questi tratti dove le pendenze sono leggere, e i conseguenti chilometri fino a Forest Hill, molti dei quali in discesa, li faccio tutti camminando. Ormai il sub 24 è andato, sono in ritardo sulla tabella e in queste condizioni non potrò che esserlo sempre di più.
Forest Hill è la seconda e ultima volta che vedrò la mia crew. Il pensiero mi rincuora, ma non riesce a scacciare dalla mia testa la brutta tentazione di ritirarmi. Cerco di capire se abbia senso proseguire, costringere Valeria ad aspettarmi chissà per quanto al freddo dell’alba a Pointed Rocks (da dove mi farà da pacer) e Francesca e Valentina in macchina vicino alla pista d’arrivo di Auburn.
Prima di ritrovarle però m’imbatto in Gordon “Gordy” Ainsleigh, mitologica figura da cui è nato tutto, colui che ha sfidato i cavalli e ha vinto. Mi ferma quando già punto dritto verso la transenna dove Valeria si sta sbracciando per farsi notare.
“Non cammini bene, vedo che hai dei problemi, se vuoi ti do una sistemata io”.
In condizioni normali avrei gentilmente declinato l’offerta, ma non sono lucido e come un burattino mi lascio trascinare sul suo sudicio lettino, dove scrocchia le mie ossa malmesse. Quando gli spiego che sono i muscoli e un dolore all’addome i miei veri problemi, risponde che potrebbe avere la soluzione. Rovista nella sua sacca incasinata, tira fuori una bottiglietta di elettroliti e dio sa cos’altro: “Questa mi ha salvato più volte una gara”.
Prendo, ringrazio e mi allontano (giunto a casa guardo quel flacone, scadenza DUEMILADICIOTTO, all’interno una sostanza ormai mutata nel tempo :? ).
Finalmente ritrovo la mia crew, ma sono cotto a puntino, non so cosa devo fare.
Mi sdraio nell’erba e i loro sguardi, per la prima volta preoccupati, non aiutano a sciogliere il dilemma. Mi ritiro o arranco sperando di arrivare? Cerco di cambiare calze e scarpe, ma i muscoli delle gambe si ribellano, sono animati da blob che si agitano sotto pelle. Ancora una volta è l’anima della Western States a darmi la soluzione. Un pacer in attesa del suo runner si avvicina, vede la situazione e mi allunga due pastiglie di sali. “Prendile con un po’ d’acqua, cinque minuti e ti passano i crampi”. Quella polvere è come sabbia nella mia bocca, ma in effetti dopo poco i demoni nelle mie gambe sembrano chetarsi. Mi alzo, faccio qualche passo, corricchio. È deciso: provo ad andare un po’ più in là, poi si vedrà.
Torno in aid station, riempio le borracce, saluto un Gordy stupefatto di vedermi ancora lì e scommetto una birra che ce la farò in 24 ore (ormai un’impresa umanamente impossibile). La sua risposta - i folli spesso sono molto saggi - è: “Io una volta sono partito 10 minuti prima di te e ce l’ho fatta, ma ero anche messo molto meglio. Fossi in te terrei d’occhio il limite delle 30”.
Comincio a trotterellare per la statale.

Per una quindicina di chilometri in effetti mi riprendo, però poi quando ormai la notte è arrivata, il meccanismo si inceppa di nuovo: stessi dolori, stessi crampi, stessa fatica.
A Peachstone mi lascio andare sulla sedia di rito e sento qualcuno chiamarmi: “Simone?” Saranno le prime allucinazioni, penso. E invece è la dottoressa dell’aid station, di origine friulane, che ci tiene a fare quattro chiacchiere con gli italiani che passano. Mi rilasso un po’ e lascio perdere i calcoli temporali, l’ultima volta le 26 ore sembravano possibili, mentre discutiamo di sua mamma che quest’anno non c’è perché sta facendo il Camino di Santiago. Per lei colleziona i compatrioti. Mi mostra la foto di Filippo, passato molto prima – “Gli ho ho chiesto una faccia cattiveria” – e ne scatta una anche a me. Ora sarei curioso: chissà quale aggettivo avrà appiccicato alla mia per l’italiano arrivato dopo.

Il percorso fino a Rucky Chucky, che quest’anno si fa in gommone, credevo fosse tutta discesa e invece il fascio della mia frontale continua a fare su e giù, perdendosi in nuvoloni di terra manco stessimo correndo nel deserto.
Un sorso di brodo vegetale, diventato in breve la mia dieta, e sono pronto per il boat ride.
“Aspettiamo qualcuno?”
“...”
“Hai un pacer?
“No”
“Ah, allora andiamo”.
Quanto mi sdraierei qui sopra per lasciarmi cullare dal ritmico scorrere delle acque del torrente… Invece pochi colpi di remo e siamo già dall’altra parte.
In una pioggia di bolle di sapone e luci colorate prendo l’ultima dropbag. La fisso imbambolato come se scavandovi a fondo potessi trovarci dentro tutto quello che invece adesso non c’è. Mi risveglia una ragazza, puntantomi l’obiettivo della sua macchina fotografica a cinque centimetri dalla faccia: “A close-up for you”. Cerco di sorridere per quello che penso potrebbe diventare il mio mugshot: arrestato faccia da teschio, capo dell’armata delle tenebre.
Prendo due gel e un po’ di zenzero, l’unica cosa oltre il brodo che mi concede una riserva di 10/15 minuti di passo un po’ più spedito.
Saluto e ringrazio tutti, come sempre, e riparto contando le ore che mancano all’arrivo. Sembrano sempre le stesse però.

Da qui in poi, le strade della notte si confondono un po’.
Dopo una risalita abbastanza buona verso Green Gate e gli ennesimi calcoli all’aid station (forse ce la faccio entro 27 ore), sbaglio strada in discesa e faccio un lungo di qualche chilometro. Mi si appanna una lente a contatto e ho lasciato quelle di riserva nel primo zainetto. La frontale si scarica improvvisamente e io non trovo le pile di ricambio. Con la luce di riserva e la vista compromessa sembro Mister Magoo in gita. A ogni sasso in cui inciampo o scivolo a lato sentiero, un muscolo del mio corpo è pronto a scattare sull’attenti. Una volta sono un karateka, quella dopo un ballerino di trojka, la successiva un campione di Un, due, tre, stella! Ecco la mia personale danza delle ombre, fino a quando l’alba e un’aria fredda come mai avrei creduto di trovare qui mi porta all’aid station di Auburn Lake Trails.
“Avete un tè caldo?”, chiedo come un signorino dell’800 giunto da oltreoceano.
Scott Jurek (lo riconosco solo dopo qualche secondo) chiede; ma no, niente tè, solo brodo. Mi offre però dello SPAM, ridendo con Hal Koerner e indicando una latta di carnazza in scatola. Troppo fuso per capire la battuta rispondo: “No, I’m from Italy”. Tutti ci guardiamo allibiti. Ho freddo adesso, tanto freddo, quindi abbandono il mio rito di timbrare la sedia a ogni Aid Station e riparto. “Go! Kiddo, go!”, mi incita Scott (anche se più che un kiddo la mia andatura è da grandpa).

La luce del giorno comincia a filtrare tra gli alberi, ormai Valeria è vicina, sono ore che aspetto questo momento. A Pointed Rocks la trovo avvolta in una coperta, ma passano solo alcuni secondi (un saluto al volontario di Devil’s Thumb che è contentissimo di ritrovarmi qui, ancora in gara) e siamo di nuovo sul sentiero. Ultimi 10 chilometri e anche se non corriamo - ormai faccio fatica anche a camminare - e non parliamo molto, averla al mio fianco è la conferma che a Forest Hill ho (abbiamo!) fatto la scelta giusta. Saranno 27, saranno 28, le ore non contano più.
È un susseguirsi di gente che ci sorpassa e ci incita a lato sentiero. Thanks, Good Job, Go get it, You’re looking good! - che va bene finché era buio e alla luce delle frontali siamo tutti un po’ spettrali, ma adesso che il sole è sorto il dubbio che mi stiano prendendo per il culo un po’ mi viene.
L’asfalto di Auburn è un sollievo, nonostante l’ultima salitella bastarda di giornata.
L’ingresso nella tanto agognata pista della Placer High School invece è qualcosa di magico.
Gli sguardi di Valentina e Francesca finalmente possono rilassarsi, sono contente anche loro che ce l’abbia fatta, lo vedo. Valeria è sempre al mio fianco, mi scorta fino alla fine.
Anche se non ho la forza di sorridere, dentro lo sto facendo. Anche se non ho le energia per correrla tutta, gli ultimi cento metri le mie gambe rinascono.
“Now you can turn it off”, mi dice qualcuno indicando l’orologio al mio polso e mettendomi la medaglia al collo ( l’unica di tante gare che terrò).

Nota: a quattro giorni dalla gara, visto che mi sento ancora investito da un treno e la cosa non mi torna, faccio un test e… positivo al COVID. Gli scenari e gli spazi temporali plausibili sono infiniti, prima durante o dopo poco importa. Non cerco scuse, non ne ho bisogno. Sono però ancora più convinto di una cosa ora: la gara qualificante ce l’ho, il mio nome è pronto a tornare nell’urna.
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motosega
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Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da motosega »

Amico, hai un buckle della Western State, non importa di che materiale.
Già per questo godi dell'invidia di tutto il Forum
Sei stato grande
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Corry
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Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da Corry »

Mi hai fatto emozionare!
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Krapotkin
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Località: Vergate sul Membro

Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da Krapotkin »

Il Mito, il trail runner e la trascendenza.
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augusto losio
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Iscritto il: 06/09/2010, 7:59

Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da augusto losio »

hai tenuto fede al tuo nickname.
complimenti, credo che questa sia una di quelle gare che "non puoi non finire".
hai reso molto bene le sensazioni di un mostro simile.
ezio1961
Messaggi: 193
Iscritto il: 09/09/2013, 14:53

Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da ezio1961 »

Bello bello , grazie
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Boborosso
Messaggi: 415
Iscritto il: 17/01/2020, 15:12

Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da Boborosso »

Complimenti per la gara, per non aver mollato e per il racconto!
Grazie per averci fatto sentire quello che hai provato.

Se mai dovessi farla, prima mi toccherà farmi un book con le foto dei ultratrailer famosi per poterli riconoscere da annebbiato...
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martin
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Iscritto il: 03/10/2012, 7:27
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Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da martin »

Complimenti, sia per la gara che il racconto. Ci hai fatto emozionare.
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Dariogrizzly_1981
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Località: TORINO (TO) - GENOVA (GE)

Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da Dariogrizzly_1981 »

Ciao,

complimenti per il racconto e soprattutto per la tenacia nel portare a termine la corsa.

I bastoncini sono vietati per tutto il percorso?

Ciao,
Dario
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subliminalpop
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Re: Western States (U.S.A.) 24.06.2023

Messaggio da subliminalpop »

:)
Dariogrizzly_1981 ha scritto: 04/07/2023, 10:49
I bastoncini sono vietati per tutto il percorso?
Sì, nonostante la molta neve presente nella prima parte di percorso, erano vietati anche qualsiasi tipo di ramponcini.
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